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Il recupero dei bond emergenti

11/02/2019

Le obbligazioni emergentisono state tra le prime vittime del processo di normalizzazione della politica monetaria negli Stati Uniti che ha portato a un incremento dei tassi a breve termine e a un rafforzamento del dlaro americano.

Il rimbalzo del debito governativo emergente delle prime settimane del 2019 ha sorpreso per rapidità e intensità con la quale si è manifestato ma, in assenza di ulteriori manovre restrittive, è ragionevole attendersi che possa continuare anche nei prossimi mesi.

A pesare sull’andamento del 2018 anche l’eccessiva fiducia degli investitori nei confronti dell’asset class e le valutazioni che a inizio anno erano storicamente elevate.
Oggi ci troviamo in una situazione favorevole per le emissioni denominate in dollari alla luce dell’allargamento degli spread e in prossimità della fine del ciclo di rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve. 

Meno evidente l’opportunità sul debito governativo in valuta locale il cui investimento comporta anche un rischio di cambio che potrebbe azzerare i proventi derivanti da cedole e apprezzamento del capitale.

L’orientamento più dovish della Fed e un dollaro più debole, unitamente al calo del prezzo del petrolio, hanno ridotto la pressione sulle banche centrali dei mercati emergentia rialzare i tassi ufficiali. Questo vuol dire che potremmo vedere nel breve termine le condizioni ideali per un ulteriore recuperodell’asset class, anche se il flusso di dati economici più deboli a livello globale non rappresenta, normalmente, il contesto più favorevole a questo segmento di mercato.

I fondamentali macroeconomici degli emergenti sono solidi. All’inizio del 2018 la loro bilancia dei pagamenti aveva iniziato a virare in negativo e, con il rallentamento degli afflussi verso gli emergenti, le riserve di valuta estera avevano iniziato a calare e le valute degli emergenti erano andate sotto pressione. Nel secondo semestre dell’anno scorso, l’asset class ha iniziato a migliorare le proprie condizioni, guidata da Paesi come Argentina e Turchia La bilancia commerciale degli emergenti è tornata in equilibrio e attualmente si muove intorno allo zero. I flussi si sono stabilizzati, le riserve valutarie hanno iniziato a crescere nuovamente e le valute degli emergenti a correre.

Il rallentamento degli afflussi di capitali a metà del 2018 ha una doppia implicazione: in primo luogo tali afflussi sono correlati ai prestiti domestici e hanno contribuito significativamente al rallentamento della crescita del credito nel secondo semestre. L’impulso di credito negativo suggerisce rischi di rallentamento in termini di crescita del Pil nell’ultimo trimestre del 2018 e nei primi tre mesi di quest’anno.

Queste condizioni avevano fatto defluire la liquidità dalla asset class, in modo molto simile a quanto avvenuto nel periodo 2014-16, quando la Fed aveva iniziato a ridurre il quantitative easing e ad alzare i tassi di interesse. Come allora, le valute sono state il meccanismo di aggiustamento scelto dai Paesi sotto pressione.

Infatti, sebbene i rendimenti locali siano stati profondamente negativi, la maggior parte dei Paesi ha evitato di sprecare le proprie preziose riserve di valuta estera nel futile tentativo di stabilizzare la valuta locale. 

Dato che la crescita Usa potrebbe aver ormai superato il picco nel secondo trimestre 2018, l’outlook per la politica monetaria della Fed dovrebbe chiarirsi nel 2019. Ciò rende più probabile una sovraperformance del debito emergente rispetto all’insolito anno passato, che è risultato negativo per tutti i principali indici in dollari e in valuta locale.

A cura di: Rocki Gialanella

Parole chiave:

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