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Le nuove stime sulla crescita targate FMI
Nel report, messo a punto dal team guidato dal capo economista Maurice Obstfeld, si prevede che l’economia mondiale crescerà del 3,5% nel 2017 e del 3,6% nel 2018, confermando le stime diffuse in aprile
Rispetto ai dati diffusi in aprile, alcune economie hanno fatto registrare dei miglioramenti e altre no. In tal senso spiccano le revisioni al rialzo per: Giappone, Cina, Asia Emergente e Messico. La revisione al ribasso più importante riguarda gli Usa, anche se il gigante nordamericano dovrebbe mantenersi su livelli superiori a quelli indicati dalla sua crescita media potenziale di lungo termine.
La fase di stagnazione sofferta dall’amministrazione Trump, che non sta portando a nessun progresso in materia di riforma fiscale o incremento della spesa pubblica destinata alle infrastrutture, ha indotto il FMI a ridimensionare le sue stime di crescita per gli Usa fino al 2,1%, tanto per il 2017 che per il 2018. Si tratta di un livello superiore all’1,6% archiviato nel 2016.
Secondo il FMI, la politica fiscale negli Usa non sarà così espansiva come si era ipotizzato in seguito all’arrivo di Trump alla presidenza. L’FMI sostiene che la presunta risolutezza del neo presidente Usa non riuscirà ad eliminare la naturale incertezza e le modalità di riequilibrio tipiche della politica fiscale. Nel report si mette in guardia anche dalle tendenze protezioniste che permeano gli Usa e dai potenziali deflussi che tale atteggiamento potrebbe innescare dai mercati emergenti, toccando le catene internazionali di somministrazione e di beni e servizi e riducendo la produttività.
La revisione al ribasso ha coinvolto anche il Regno Unito per l’anno in corso (i dati trimestrali britannici hanno deluso le attese). L’economia inglese è cresciuta quest’anno dell’1,7%, tre decimi meno del previsto, e manterrà un’espansione dell’1,5% nel 2018.
Al contrario, sono state riviste al rialzo le stime di molti paesi dell’eurozona: Germania, Spagna, Francia e Italia. I dati relativi all’ultimo trimestre e le revisioni dei dati previsti per i prossimi, lasciano ipotizzare al team che la forza della domanda interna nell’eurozona sia più intensa rispetto a quanto previsto. Tra le economie industrializzate che ricevono un miglioramento delle stime troviamo anche Canada e Giappone, paesi in cui i consumi privati, gli investimenti e le stime mostrano tutti valori positivi.
Un capitolo a parte è dedicato alla Cina. Le stime per la crescita sono al 6,7% per il 2017, lo stesso livello registrato nel 2016. Per il 2018, la stima indica una variazione positiva del Pil al 6,4%. La distensione dello scenario politico e la continuità del processo di riforme (per esempio negli sforzi per ridurre l’eccesso di capacità nel settore industriale), hanno offerto nuova linfa all’economia del gigante asiatico. La revisione al rialzo dello 0,2% per il 2018 riflette l’aspettativa che le autorità di Pechino rinvieranno il necessario riequilibrio fiscale (mantenendo un livello di investimenti pubblici elevato) per centrare il raddoppio del Pil nel periodo 2010-2020. Tra i rischi individuati per l’evoluzione dell’economia cinese, il FMI indica in primis la scarsa attenzione alla regolamentazione del settore finanziario.
A livello planetario, i rischi si focalizzano sulla tendenza all’isolazionismo politico, sull’arrivo di uno hard landing per la Cina e sugli effetti del processo di normalizzazione della politica monetaria nelle economie industrializzate. Su quest’ultimo punto, il team ricorda che molte economie emergenti hanno ricevuto flussi di capitali in scia al continuo ribasso dei tassi e che un’inversione di tale flusso potrebbe mettere in serie difficoltà le bilance dei pagamenti. A soffrire sarebbero i paesi emergenti più indebitati.