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Corea del Sud, la tigre asiatica di maggior successo
Il cammino è stato duro, segnato da crisi profonde come quella del 1997, tuttavia, nell’arco di pochi decenni la Corea del Sud è passata dal gruppo dei paesi più poveri a quello dei più ricchi.
Un vero miracolo economico, simile a quello sperimentato in passato dall’Italia o dalla Spagna. Il superamento della soglia dei 30.000 usd (Pil a prezzi correnti) dovrebbe avvenire nel corso del 2018 se il tasso di crescita dell’economia si manterrà sopra il 3% e lo won coreano non si deprezzerà (in particolare nel rapporto di cambio con l’usd).
Ma quali sono state le variabili chiave per centrare questo risultato? Nel 1957 il Ghana e la Corea del Sud presentavano livelli simili di reddito procapite. Attualmente la differenza tra i due paesi è abissale, almeno per quanto concerne gli standard di vita e la ricchezza disponibile. Negli anni ’60 il paese era uno dei più corrotti, politicamente instabile e dipendente dagli aiuti dell’Occidente. In poco più di venti anni la Corea ha sperimentato una trasformazione radicale e un processo di industrializzazione molto veloce (con progressi che nei paesi occidentali sono stati raggiunti in un lasso di almeno cento anni).
Una serie di decisioni politiche prese per proteggere industrie chiave, una decisa apertura al commercio con l’estero in altri settori e un sensibile miglioramento del sistema educativo, sono stati i tre pilastri del forte sviluppo del paese. L’insieme di queste misure sono state implementate dal Generale Park Chung Hee e da suoi uomini di fiducia con l’obiettivo di trasformare il paese in una potenza esportatrice. Seul ha copiato il modello giapponese, lo stesso adottato nell’attualità da Taiwan.
La gestione pubblica di Park (con l’appoggio delle entità finanziarie domestiche controllate dal regime), concessero importanti linee di credito all’industria dell’acciaio, a quella petrolchimica, dell’auto, elettronica e della cantieristica navale. Il regime optò anche per una drastica riduzione delle barriere all’importazione di beni necessari alla produzione di macchinari. In alcuni casi si arrivò a offrire sussidi all’importazione di alcuni inputs intermedi utili alle industrie chiave.
I chaebol, grandi conglomerati industriali, approfittarono di questi supporti per crescere a tassi a due cifre. Gli altri settori –quelli non ritenuti essenziali dal regime- dovettero fare i conti con l’aumento della concorrenza estera e con l’effetto crowding out, causato dall’assegnazione della maggior parte delle risorse ai settori considerati strategici. Le esportazioni sudcoreane sono passate dal 2% al 30% del Pil dal 1962 al 1980. Nel 1960, solo il 35% dei beni esportati erano manufatti. Nel 1995 la cifra è lievitata fino al 96,9%.
La strategia del Generale Park ha tenuto in debita considerazione che il paese non poteva fare affidamento su risorse naturali e doveva necessariamente essere orientata all’export di manufatti.
La fine dei dazi e l’apertura di linee di credito ha permesso alla aziende coreane di accumulare capitale e incrementare la produttività nei settori chiave. Attualmente le esportazioni del paese superano il 50% del Pil.
Il reddito procapite del paese asiatico ha superato i 10.000 usd nel 1994, i 20.000 usd nel 2006 e ha toccato quota 27.561 dollari nel 2017. Eliminando l’effetto discorsivo dei prezzi, il trend è ancora più impressionante. Nel 1970, il reddito procapite era di 2.496 usd e nel 2016 tocca i 35.000 usd.