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Rame e petrolio, segnali poco incoraggianti
Alcune materie prime rappresentano una spia fondamentale delle previsioni sull’andamento dell’economia globale. In pratica, quando i future su rame e petrolio, oltre che di diverse altre commodity industriali, salgono, vuole dire che ci sono aspettative di crescita della produzione nel mondo e di conseguenza buone attese di sviluppo globale da parte dei mercati. Al contrario una discesa dei prezzi indica previsioni di crisi.
Vediamo a questo punto quale futuro ci fanno intravedere proprio il petrolio e il rame, considerando anche che l’economia si trova al termine di un ciclo lunghissimo.
Rame. Questo metallo rappresenta uno degli elementi chiave di un’infinità di lavorazioni industriali e di fatto è una sorta di benchmark della forza industriale del pianeta. Il maggiore acquirente mondiale sui mercati è la Cina, le cui necessità di fatto determinano l’andamento di “Doctor Copper”, come viene definito confidenzialmente dagli operatori in commodity.
Attualmente il prezzo del future con scadenza marzo è di 2,760 dollari a libbra ed è in netta e costante discesa dal giugno scorso, quando raggiunse la quotazione di 3,297 dollari. Il minimo è stato raggiunto ad agosto a 2,575 e da allora c’è stata una leggerissima ripresa in un trend sostanzialmente lineare. Ad avere determinato la caduta è stata soprattutto la guerra commerciale dichiarata dall’amministrazione Trump alla Cina: essendo la Repubblica Popolare la maggiore consumatrice mondiale, in una situazione di difficoltà in cui vengono imposti nuovi dazi, è probabile che la produzione industriale diminuisca. E i mercati non fanno altro che prendere atto di questa difficoltà. Nel momento in cui ci fosse una schiarita su questo piano (pochi la ritengono probabile), il prezzo del rame potrebbe risalire.
Petrolio. L’andamento del petrolio è stato molto particolare nell’ultimo anno. Il future con scadenza febbraio del Brent, il maggiore benchmark petrolifero europeo, attualmente quota 59-60 dollari, mentre il future sul Wti, che rappresenta il prezzo base per il greggio statunitense, oggi è intorno a 51-51,5 dollari. Ma ambedue le varietà escono da un anno molto complesso: fino ai primi di ottobre erano ai massimi di periodo: 76,9 per la variante Usa e 86,74 per quella europea. In pratica in meno di due mesi c’è stata una caduta di circa il 30%. Rispetto a un anno fa c’è ancora un guadagno intorno al 10-12%, ma l’andamento dell’oil che aveva fatto gridare al miracolo con una costante salita nei primi 10 mesi si è sonoramente sgonfiato.
Nella realtà ad avere determinato la risalita dei corsi precedentemente erano state soprattutto le sanzioni all’Iran, oltre che le grandi difficoltà del Venezuela. L’andamento di questi due paesi è determinante negli equilibri del mercato petrolifero. In ogni caso non c’era alcuna previsione di aumento dei consumi. Ma in un secondo tempo, pur restando i problemi iraniani e venezuelani, l’imposizione dei dazi da parte di Trump, che potrebbe diminuire il consumo e provocare una possibile frenata della Cina, che anche in questo caso è il maggiore importatore mondiale, hanno completamente raffreddato gli entusiasmi.
Conclusione. Tutto sommato i segnali provenienti da queste due fondamentali materie prime non sono particolarmente incoraggianti: anche se la previsione di crescita del Pil globale resta, secondo il Fondo Monetario Internazionale, al 3,5% , i mercati sembrano temere un forte rallentamento generale, provocato soprattutto dalla guerra commerciale (ma c’è addirittura chi parla di vera e propria guerra fredda) avviata dagli Usa. Se le indicazioni che arrivano dalle due più importanti materie prime industriali hanno un senso, i tempi che si preparano per le economie e di conseguenza per i mercati non sono stupendi.