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Liquidità: gestirla al meglio è difficile per scarsa educazione

Pochi italiani conoscono gli effetti dei tassi passivi e di quelli attivi o l’impatto dell’inflazione. Domina la scarsa educazione finanziaria, nel momento in cui le famiglie devono decidere come impiegare la loro liquidità. C’è la convinzione che un buon investimento è solo questione di fortuna.

24/05/2023
portafoglio sopra molte banconote in euro
Ricerca sulla liquidità delle famiglie italiane

Gli italiani hanno sempre avuto un rapporto piuttosto complicato con la liquidità e, adesso che i rendimenti sono tornati a salire, la cosa li mette ancora più in difficoltà a causa della loro scarsa educazione finanziaria. Insomma, la bolla del risparmio-cash è ormai solo un ricordo nel nostro Paese, dove però latitano le strategie, la consapevolezza dei rischi, delle conseguenti coperture, così come dell’importanza della diversificazione degli asset che si vogliono tenere in portafoglio. Questo è il quadro, a dir poco disarmante, che emerge dal quarto Rapporto Censis-Assogestioni, che quest’anno prende il nome ‘I risparmiatori oltre la crisi’, presentato in occasione del Salone del Risparmio.

Il cash ha perso appeal, -1,6% in un anno

Lo scorso anno il contante detenuto dalle famiglie italiane si è ridotto di oltre 20 miliardi di euro rispetto al 2021, dell’1,6% in termini reali. Lo scorso marzo il valore dei depositi sui conti correnti bancari era calato del 6,1%. L’inflazione (8,7% nel 2022) ha ridotto l’attrattività del cash, che nei dieci anni precedenti era aumentato complessivamente di quasi 470 miliardi (+61,8%). Oggi 4 italiani su 10 dichiarano che nell’ultimo anno, a causa dell’impennata dell’inflazione, hanno cambiato le proprie idee su come impiegare i risparmi. I numeri della tendenza: il 33% dei consulenti, infatti, ha registrato nel frattempo una più alta propensione dei clienti a liberarsi della liquidità accumulata.

Domina la diseducazione finanziaria

Il desiderio degli italiani di allocare il contante apre loro una nuova stagione di scelte su cosa fare. Tuttavia, le competenze su risparmi, investimenti e processi economici sono molto deboli. Nell’ambito dell’indagine di Censis-Assogestioni, sono stati posti quattro quesiti a un campione per verificare la reale conoscenza dell’inflazione, dell’effetto dei tassi attivi sui depositi, di quelli passivi sui prestiti e della differenza tra azioni e obbligazioni. Il 40,9% non conosce l’effetto inflazione sul potere d’acquisto, il 35% non sa come agisce il tasso attivo su un conto corrente, il 47,8% non comprende gli effetti del tasso passivo su un prestito bancario e il 41,6% non distingue le azioni dai bond.

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Solo 4 su dieci sanno cos’è l’inflazione

 

Sui quattro quesiti, il 26,2% ha risposto correttamente a due, il 16,2% a uno solo e il 9,1% a nessuno. Ma c’è un altro tipo di problema: l’ampio gap tra quello che gli italiani pensano di sapere e quello che veramente sanno. Tra le persone che dichiarano di sapere che cos’è l’inflazione, 4 su 10 non sanno che riduce il potere d’acquisto. Vale per il 34,2% dei laureati, il 38,2% dei diplomati e il 63,2% di chi detiene titoli di studio più bassi. La verifica delle conoscenze finanziarie smentisce l’autovalutazione positiva di molti risparmiatori. Tra coloro che pensano di avere adeguate conoscenze finanziarie, il 25,4% ha risposto bene a due quesiti, il 15,4% a un solo, il 7,1% a nessun quesito.

Fa più danni la presunzione di sapere

Questo problema, ovvero la presunzione di sapere, espone il risparmiatore al rischio di fare scelte finanziarie sbagliate. Ne è la prova il fatto che il 40,2% di chi è convinto di possedere adeguate conoscenze finanziarie ha sperimentato perdite sui propri investimenti rispetto al 29,8% di chi pensa di non avere adeguate conoscenze in materia. L’eccesso di fiducia nelle proprie competenze, secondo l’indagine, porta infatti ad abbassare la guardia e ad esporsi di più. Tra chi pensa di avere ottime o buone conoscenze finanziarie, il 14,3% è pronto a prendersi alti rischi per ottenere subito rendimenti elevati rispetto al 7,9% di coloro che pensano di non avere sufficienti competenze al riguardo.

La convinzione che un buon investimento è questione di fortuna

Dalla presunzione all’irrazionale il passo è breve. Ben il 37,4% dei risparmiatori pensa infatti che gli investimenti remunerativi siano dovuti solo al caso e che i rendimenti dipendano dalla fortuna. Lo pensa il 43,9% di chi possiede un basso titolo di studio, ma anche il 39,2% dei diplomati e il 32,5% dei laureati. L’irrazionale nel rapporto con il risparmio e con gli investimenti è dunque ancora molto diffuso. Per tanti italiani, secondo il report, investire è come giocare al superenalotto: contano solo il caso e la buona sorte. Il 46,6% di chi non possiede adeguate competenze pensa che i buoni investimenti dipendano dalla fortuna, ma anche il 30,8% di chi dichiara di essere competente in materia.

Il parere dei consulenti finanziari

Il quadro tracciato dai consulenti finanziari sulle conoscenze finanziarie dei propri clienti è, se è possibile, ancora più sconfortante. Il 55,9% dei consulenti finanziari - intervistati nell’ambito della ricerca di Censis-Assogestioni - ritiene che il termine che descrive meglio l’attuale stato d’animo dei loro clienti è “cautela”. Seguono il disorientamento (40%), l’ansia (24,3%) e la speranza (16,5%). In merito alle conoscenze finanziarie dei propri clienti, meno dell’1% dei consulenti le definisce ottime, il 21,3% le giudica buone, il 50% sufficienti, il 28,2% insufficienti. Solo al 7,1% dei consulenti capita spesso di incontrare clienti con una educazione finanziaria elevata.

A cura di: Fernando Mancini

Parole chiave:

liquidità censis inflazione educazione
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