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L’aspettativa di vita cambia l’orizzonte dell’investimento
Jeremy Siegel è noto per aver analizzato il rapporto rischio/rendimento di un portafoglio costituito da azioni e bond, in funzione del tempo che le singole attività permangono all’interno del portafoglio.
Prendendo in considerazione un orizzonte complessivo di oltre 200 anni, l’esperto selezionò portafogli a 30, 20, 10, 5, 2 e 1 anno e determinò la frontiera efficiente, vale a dire la combinazione tra le due asset che offre la migliore performance con il minor livello di rischio associato.
Su un orizzonte temporale di trenta anni si ottiene una performance medio annua del 6.7% se si investe la totalità del patrimonio in azioni, con una volatilità approssimativamente del 2%.
Sempre in un lasso di tempo di trenta anni, l’investimento in titoli di debito avrebbe offerto una performance medio annua del 3,5%, con una volatilità di circa il 2,3%. In altre parole, su un orizzonte temporale di trenta anni, le azioni hanno offerto di più e con un minore livello di rischio.
Se ipotizziamo di aver costruito un portafoglio con il 68% di azioni e la restante parte in bond, saremmo riusciti a ottimizzare la performance in funzione del minor livello di rischio possibile.
Tuttavia, se si decide di ridurre gradualmente la lunghezza dei periodi presi in considerazione, il livello del rischio tende a crescere. La quota destinata alla componente azionaria dovrà obbligatoriamente scendere se volessimo perseguire il minor livello di rischio possibile per ogni punto di rendimento ottenuto.
Siegel dimostra che, su un orizzonte temporale di cinque anni, la quota destinata ai titoli di rischio dovrebbe scendere fino al 25% del portafoglio. Sui cinque anni, per ottenere lo stesso rendimento medio annuo realizzabile a trenta anni, la volatilità passerà al 5%. A un anno, la performance può lievitare fino all’8%, ma lo stesso livello è registrato per la volatilità. Secondo gli studi di Siegel, la volatilità dell’investimento in azioni è maggiore nel breve termine ma, nel lungo termine, tende addirittura a portarsi al di sotto di quella registrata dall’investimento puramente obbligazionario. In trenta anni, un portafoglio costituito al 100% da azioni sarebbe meno volatile rispetto a un portafoglio obbligazionario puro.
Siegel ha analizzato anche la relazione tra struttura dei portafogli e aspettativa di vita nella maggior parte dei paesi industrializzati. Attualmente, un pensionato residente nei paesi occidentali ha buone chance di vivere almeno venti anni dal momento della richiesta dell’assegno previdenziale. Per questa ragione, e per le considerazioni fatte prima sulle perfomance conseguibili in lassi di tempo che vanno dai cinque ai venti anni, Siegel sostiene che non si dovrebbe tagliare completamente la quota di portafoglio destinata alle azioni nel momento in cui si va in pensione.
Contrariamente a quanto propugnato dall’esperto, la maggior parte degli investitori istituzionali e privati ha una view orientata al breve termine perché gli analisti tendono a raccogliere i risultati aziendali in periodi di tempo sempre più corti e gli investitori tendono a rincorrere rendimenti quasi istantanei. Paradossalmente, l’allungamento dell’aspettativa di vita viene accompagnato da una view sempre più orientata al breve termine, con l’orizzonte temporale sempre più ridotto.
I motivi? il mercato ha la tendenza a reagire in modo scomposto alla diffusione di notizie che hanno un impatto di brevissimo termine, i media hanno bisogno di titoli altisonanti per attirare l’attenzione dei lettori e i professionisti del settore della gestione ricevono compensi elevati solo se centrano risultati positivi in un lasso di tempo ristretto.
Sembra che gli investitori, istituzionali e privati, pur conoscendo bene quali siano i vantaggi dell’investimento nel lungo termine, tenda a farsi dominare dalle pulsioni di breve termine. Il sistema delle remunerazioni, che tende a premiare quei gestori che creano suggestioni illusorie nel breve termine, accentua ulteriormente la tendenza. Il danno nel lungo termine per una strategia improntata sull’investimento in azioni è incalcolabile.