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Chi è più sensibile alla Brexit?
Ormai si avvicina il giorno della votazione per la permanenza o l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea. Mentre diversi sondaggi piuttosto contraddittori si susseguono su una votazione dall'esito imprevedibile, molte parole sono state spese sulle conseguenze per l'economia del Regno Unito. Di recente però il team di ricerca di S&P Ratings Direct ha messo a punto un indice di sensibilità che mette in ordine le 20 economie più esposte ai problemi derivanti da un'eventuale Brexit.
I criteri utilizzati sono quattro: l'interdipendenza a livello di saldo migratorio in percentuale della popolazione di ciascuna nazione, la quantità dei crediti finanziari verso il Regno Unito, la presenza di investimenti esteri diretti nell'Isola e la quantità di esportazioni; queste ultime tre grandezze sono tarate in percentuale in rapporto al prodotto interno lordo di ogni paese della lista.
E non sorprende, tutto sommato, scoprire che in assoluto l'economia con i maggiori contraccolpi sarebbe quella irlandese, visti i legami storici fra le due nazioni. In particolare il totale di britannici che vivono in Irlanda, sommato alll'insieme di irlandesi che vivono in Uk è pari al 18% circa della popolazione irlandese, una cifra che non trova riscontro in nessun altro paese della lista.
Ovviamente anche la componente export per Dublino appare fondamentale, mentre il discorso si fa più ambiguo per quanto riguarda i flussi finanziari. È vero infatti che le istituzioni finanziarie irlandesi vantano non pochi crediti verso Londra, ma è altrettanto indubbio che l'Irlanda potrebbe acquisire alcuni dei servizi finanziari in fuga dalla Gran Bretagna.
Ciò per dire che appare oggi difficile stabilire quali potrebbero essere le conseguenze in una marea di interconnessioni e contro-interconnessioni difficili da sbrogliare. Prendiamo ad esempio il caso dell'Italia: il nostro paese, secondo Standard&Poor's, presenta una sensibilità alla Brexit non fra le più elevate, largamente inferiore rispetto a Francia e Germania.
Il Belpaese, infatti, si trova in questo indice in diciannovesima posizione, tre posti dietro il Canada, peraltro l'unica economia non europea nella top 20. Ad esempio l'export italiano verso la Gran Bretagna rappresenta solo l'1,6% del Pil, un valore appena superiore a quello registrato da Canada e Austria, mentre i crediti del settore finanziario italiano, per quanto pari a un non indifferente 13,2% del Pil, quasi scompaiono rispetto al circa 65% fatto registrare in questo ambito dalla Svizzera.
Ciò nonostante, quando i mercati azionari europei sono tornati in una nuova fase di volatilità a causa dei timori della Brexit, l'Italia è risultata fra le piazze più instabili in assoluto. In pratica in Europa si fa ancora fatica a uscire dal principio che “quando le cose vanno male, meglio prendersela comunque con il Sud Europa”. Il che francamente, viste le interconnessioni delineate da Standard&Poor's, induce a pensare che in caso di voto per l'uscita le sorprese future saranno parecchie e non ancora incorporate nei modelli di rischio dei mercati.