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Cina e Giappone vendono Treasury a ritmi record
Le ripercussioni sui rendimenti dei Treasury Bond si sono già fatte sentire e il trend potrebbe mettere in discussione sia la politica monetaria della Fed che i progressi dell’economia reale
Le banche centrali di Cina e Giappone, i principali possessori di titoli di stato nordamericani, stanno cominciando a perdere l’appetito evidenziato negli ultimi anni per le emissioni di Treasury Bond. Il fenomeno è ben visibile nei dati pubblicati dal Tesoro Usa e dalla Federal Reserve: durante gli ultimi tre trimestri questa tipologia di asset, in custodia presso la banca centrale statunitense, ha registrato la più intensa diminuzione dei volumi complessivi. Tale dinamica ha subito una decisa accelerazione nell’ultimo trimestre ed ha determinato un incremento dei rendimenti offerti dal Tesoro Usa.
I dati diffusi dalla Fed dimostrano come, nella seconda settimana di settembre, le banche centrali dei due paesi asiatici e altri investitori istituzionali esteri che mantengono i propri assets di debito pubblico statunitense sotto la supervisione della Fed, hanno venduto 12.214 mln di usd di Treasury bond.
Alla chiusura delle negoziazioni del 21 settembre, la banca centrale guidata da Janet Yellen custodiva un ammontare totale di 2.820 miliardi di usd in titoli di stato, più di 194.000 mln in meno rispetto a dodici mesi addietro. Nel corso del primo semestre dell’anno, i possessori stranieri ufficiali di Treasury bond hanno venduto approssimativamente 100.000 mln di Treasury. Nel terzo trimestre del 2016 – appena conclusosi- le vendite hanno raggiunto i 78.000 mln di usd.
Il ritmo delle vendite fin qui registrato dall’inizio del 2016 è il più elevato dal 2002 e quadruplica le quantità totali relative agli ultimi anni (secondo i dati in possesso della Federal Reserve). Gli esperti sostengono che se il trend in atto non dovesse rallentare, le vendite genereranno un’ondata di volatilità crescente nel segmento del reddito fisso e condizioneranno la stessa economia degli Stati Uniti.
Stando ai dati elaborati dal Congresso americano, il deficit statunitense raggiungerà il 4,6% del Pil nel 2026. Questa percentuale implica che il debito pubblico del paese ingrasserà fino a raggiungere quota 10.000 miliardi di usd nel prossimo decennio. In assenza di una domanda –proveniente dall’estero- sufficientemente sostenuta da assorbire le nuove emissioni di titoli di stato, i costi di finanziamento da sostenere per il Governo del paese corrono il rischio di subire un’impennata.
Questo fenomeno ha ancora maggiori probabilità di materializzarsi se si pensa che la Federal Reserve dovrebbe procedere, nei prossimi anni, nella direzione che porta alla normalizzazione del costo del denaro. Fino a questo momento, il rendimento del Treasury bond con scadenza a dieci anni è risalito fino all’1,58% (rispetto ai minimi dell’1,35% toccati a luglio).
La vendita di titoli di stato da parte di banche centrali e investitori stranieri ha fatto sentire i suoi effetti sui conti pubblicati dal Dipartimento del Tesoro Usa. La Cina, il principale creditore degli Usa, possedeva alla fine di luglio 1.210 mld di Treasury Bond, 50.000 mln di dollari in meno rispetto a quanto dichiarato nello stesso periodo del 2015.
Il paese del Sol Levante, il secondo possessore di titoli di stato nordamericani, ha ridotto di 46.200 mln di usd il suo portafoglio di Treasury, che alla fine di luglio faceva segnare un totale di 1.115 miliardi di usd.