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Petrolio, tanti vantaggi dall'accordo
La scorsa settimana, dopo anni di battaglie e di lotte all'interno dei paesi esportatori di petrolio, si è arrivati a un compromesso tra le maggiori potenze del settore per una parziale limitazione dell'estrazione di greggio. Arabia Saudita e Iran, i due maggiori avversari (forse sarebbe meglio dire nemici) nel mondo islamico, hanno trovato una bozza di accordo che prevede una riduzione nella produzione di oro nero da parte di Ryad e un leggero incremento per Teheran.
La notizia ha messo immediatamente le ali alle quotazioni della materia prima energetica, che hanno aperto la settimana con lo sfondamento della barriera di 50 dollari al barile per il Brent e con l'ampio superamento di 48 per il Wti. Erano diversi mesi che non si vedevano questi livelli.
Ma ciò che hanno insegnato gli ultimi anni è stato che i prezzi del petrolio hanno un'influenza determinante su moltissimi mercati e anche aree di business che tradizionalmente venivano avvantaggiate da un costo limitato dell'oil possono avere contraccolpi tutt'altro che leggeri.
Ma vediamo l'influenza delle diverse fasce di quotazione sui mercati.
Tra 40 e 50 dollari al barile. È il range in cui il petrolio si è mosso negli ultimi mesi. Ovviamente tra 40 e 50 le differenze sono molte, ma nel complesso si può dire che con un livello intorno a 45 i problemi per diversi paesi e per diversi settori ci sono, ma non sono drammatici. Le major petrolifere dei paesi più avanzati riescono ancora a trarre profitti, sia pure limitati, i paesi produttori del Medio oriente e la Russia sopravvivono discretamente, così come tutte le aree dove l'oro nero viene estratto con costi ragionevoli.
Un mercato che è stato molto influenzato dai corsi del greggio è gli high yield Usa, al cui interno si trovano molte emissioni di società che estraggono gas e oil dallo scisto. Si tratta di situazioni molto differenziate, ma con una quotazione tra 40 e 50 dollari al barile il rischio di una serie di fallimenti a catena sembra abbastanza scongiurato: non a caso nelle ultime settimane le obbligazioni ad alto rendimento Usa hanno visto un notevole ritorno di interesse da parte degli investitori. Fino a 50 dollari e anche un po' oltre restano invece ancora in difficoltà gli estrattori off shore, tra i quali spiccano il Regno Unito, la Norvegia e il Brasile e molti progetti già avviati rischiano di restare bloccati ancora a lungo.
Tra 40 e 30 dollari al barile. Un prezzo che si avvicini alla soglia di 30 dollari al barile dà sostanzialmente problemi a tutti e si è visto che anche i paesi fortemente importatori, come l'Eurozona, hanno più svantaggi che vantaggi da un greggio a livelli troppo bassi. I listini dei mercati più avanzati sono pieni di società che fanno affari con il petrolio e che hanno contratti di estrazione in giro per il mondo spesso molto onerosi. Non a caso le borse europee e americane recentemente hanno avuto un rapporto di crescita quasi diretto con il petrolio.
Inoltre la discesa verso 30 dollari renderebbe molto difficile la vita di paesi come Russia e Brasile, oltre a diversi altri, e l'incidenza sui consumi globali non sarebbe secondaria. Forse solo India e Cina, che sono importatori netti, potrebbero trarre qualche vantaggio da un ribasso di questo genere.
Tra 50 e 60 dollari al barile. Tutto sommato il raggiungimento di una stabilità tra 55 e 60 dollari sarebbe la soluzione quasi ideale per tutti. I paesi importatori si troverebbero con un costo dell'energia ancora accettabile, comunque ben lontano dalle punte di oltre 100 dollari degli anni passati, i paesi produttori ricaverebbero utili più che discreti e avrebbero cash per risanare le loro economie e attivare nuovi investimenti; probabilmente ci sarebbe anche lo spazio per nuova ricerca. Nel momento in cui si verificasse una situazione di questo tipo, e sembra che non siamo lontanissimi, sulle borse azionarie e obbligazionarie di tutto il mondo, si rimuoverebbe uno dei motivi di maggiore preoccupazione.