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Mercati, tanta forza sulle azioni
La seconda settimana dopo l'elezione presidenziale americana è stata caratterizzata da una decisa forza sui mercati azionari sviluppati, anche se le oscillazioni sono state più modeste e in linea con l'ambiente di bassa volatilità delle settimane precedenti, e soprattutto dalla potenza del dollaro e dalla debolezza dell'obbligazionario.
Prima di esaminare quest'ultimo aspetto è però interessante allargare la panoramica su altre asset class che possono aiutare a comprendere meglio ciò che sta accadendo. In particolare è bene focalizzarsi su oro e petrolio, entrambi piuttosto deboli. Infatti il future sul Wti, nonostante le intenzioni di taglio da parte dell'Opec, fa fatica a spingersi oltre la soglia di 45 dollari, mentre il prezioso per eccellenza appare in caduta libera.
Dopo un inizio di 2016 strepitoso in cui in poche settimane da poco più di 1.050 dollari un'oncia di metallo giallo era arrivata a quotare oltre 1.380, novembre ha portato un calo da 1.300 a 1.200. Il tutto è abbastanza strano, se si pensa che appare cambiato completamente il paradigma sull'inflazione e si è passati da una situazione di calma piatta ad aspettative di robusto rialzo dei prezzi. Normalmente, infatti, l'oro tende a sovraperformare quando il costo della vita sale in maniera robusta.
In questo caso, però, il mercato sta puntando su un'inflazione, fra virgolette, sana, generata cioè dalla pressione sugli stipendi derivante da una robusta crescita economica. Per quanto riguarda il petrolio, invece, il problema risiede nell'aumento dell'offerta, dovuto agli avanzamenti tecnologici e produttivi delle imprese nord-americane del settore, pronte a tornare sul mercato a ogni minimo rialzo delle quotazioni.
La politica ultra-espansiva a livello fiscale che dovrebbe partire con la nuova presidenza sta portando a un notevole aumento dei rendimenti dei titoli di stato: i Treasury decennali americani sono arrivati oltre la soglia del 2,3%, mentre i sopravvalutatissimi Bund tedeschi hanno toccato 33 punti base (a luglio registrarono il minimo storico di rendimento a -20 punti base).
Il vero vincitore di questi giorni, comunque, sembra il super-dollaro, tornato sopra quota 110 sullo yen e sotto 1,06 nei confronti dell'euro. Se andiamo poi a guardare l'andamento del Dollar index, un indicatore che descrive i movimenti del biglietto verde rispetto a sei valute di nazioni sviluppate (euro, yen, sterlina, dollaro canadese, franco svizzero e corona svedese), si vede che in settimana sono stati toccati i massimi degli ultimi 14 anni. Il Dollar index, infatti, si è attualmente posizionato sopra 101: ai minimi del bear market secolare del dollaro, nell'estate del 2008, scambiava non molto sopra 70.
A questo punto appare difficile oggi capire quale potrà essere la direzione futura dei trend in corso: infatti per il momento i dati sembrano mostrare modestissime sorprese. Ad esempio la seconda lettura del Pil dell'Eurozona ha mostrato un aumento congiunturale dello 0,3%, in linea con le aspettative.
La settimana prossima comunque arriveranno altri numeri interessanti, quali il Pmi flash europeo su servizi e manifattura e quello manifatturiero americano. Sempre negli Usa verrà pubblicata la stima sull'andamento di ordini di beni durevoli, mentre in Germania si conosceranno le vendite al dettaglio.
Nel complesso, comunque, gli investitori sembrano più interessati alle prospettive future che ai dati economici attuali, con un particolare occhio al rischio politico. In questo ambito appare superfluo ricordare che. man mano che il 4 dicembre, data del referendum costituzionale in Italia, si avvicina, il barometro politico europeo potrebbe arroventarsi. Anche se il programma pro-crescita americano sembra avere per il momento indotto a una fase di ottimismo generale.