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Mercati ai massimi, ma dipendenti dai consumi
I mercati azionari americani continuano a essere ai massimi, con il resto del mondo che ha cominciato benissimo l'anno, in particolare gli emergenti e le banche europee. In pratica è finora continuato il trend di ripresa degli asset più maltrattati un anno fa.
La cosa più ovvia da fare in un frangente come questo è chiedersi quali potrebbero essere i rischi in grado di danneggiare e potenzialmente distruggere l'attuale fase di ottimismo. Con questa espressione non indichiamo però concetti generici quali il rischio politico, il caos mediorientale, la liquefazione dell'economia cinese e altre piacevolezze simili: in pratica non vogliamo concentrarci su rischi di coda statistica, tanto gravi quanto difficili da prevedere. Più modestamente è interessante capire dove potrebbero essere le aree di reale fragilità a breve.
Infatti il consensus comune ritiene che l'economia e l'inflazione siano in accelerazione, il che, almeno in alcune parti del pianeta quali l'Europa, è vero. Dall'altra parte, però, non mancano segnali di debolezza che potrebbero compromettere il rally azionario. E con questo non immaginiamo una fase di panico sulle attività rischiose, bensì il pericolo molto più concreto di vedere un appiattimento dei rendimenti azionari, un nuovo allargamento dell'equity risk premium, un'interruzione della normalizzazione della Fed e una ripresa di flussi verso i titoli di stato degli emittenti sicuri.
Cominciamo con il dire che l'anno scorso l'economia Usa è cresciuta in totale dell'1,6%, il valore più basso da un quinquennio a questa parte, praticamente annullando il gap con l'Eurozona, un risultato particolarmente preoccupante se si pensa che il profilo demografico rimane comunque più vivace negli Stati Uniti. Esportazioni, scorte e investimenti in generale sono stati nel 2016 disastrosi, in piena zona recessione, anche se nel caso degli investimenti una buona parte delle negatività è stata dovuta alla grave crisi del comparto energetico.
Quest'ultimo ha mostrato qualche segno di miglioramento negli ultimi mesi dell'anno, ma resta il fatto che la maggiore economia del mondo, responsabile per quasi un quarto del Pil planetario, oggi dipende da un unico fattore di crescita: i consumi, che viaggiano a un livello più vicino al 3% di incremento che al 2%. Se per qualche ragione questo pilastro dovesse venire meno, le conseguenze si farebbero sentire.
Alcune spese discrezionali, quali ad esempio i ristoranti, non stanno mostrando in questo ambito dati positivi. Un quadro non molto diverso, mutatis mutandis, si presenta se ci spostiamo in Cina, dove alla fine del 2016 comunque l'economia è cresciuta di un rispettabile 6,7%. Anche qui ci sono noti problemi: l'indebitamento delle aziende di stato, la scarsa qualità degli asset locali, la diminuzione delle riserve, le disparità regionali, la contraddittorietà degli obiettivi di politica economica delle autorità e molti altri. Anche in questo caso il maggiore pilastro è rappresentato dall'espansione dei consumi interni: le vendite al dettaglio continuano a crescere a ritmi superiori al 10%. L'anno scorso il totale di questa voce ha superato i 4,8 trilioni di dollari, un valore sufficiente a rendere il Dragone il primo mercato del mondo per questo indicatore.
Inutile dire che un rallentamento, senza neanche immaginare un Armageddon, dell'appetito della neo-classe media cinese avrebbe conseguenze pesanti sul sistema.
In definitiva possiamo dire che la minaccia più concreta, vicina e quantificabile oggi risiede nella mono-dipendenza dai consumi, concentrati peraltro in alcuni macro-settori quali It e auto. Se i dati dovessero essere deludenti da questo punto di vista, addio rally.