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L’attrattiva del mercato obbligazionario europeo
Il 2016 è stato l’anno dei collocamenti di emissioni obbligazionarie estere negli Stati Uniti. Il 2017 è probabilmente destinato a segnare un’inversione di rotta, con le società Usa più attive nell'eurozona.
Il tutto grazie a Donald Trump e non perché l’arrivo del repubblicano alla Casa Bianca spaventi a tal punto le corporate da preferire la raccolta di risorse in mercati lontani da New York. La ragione principale va cercata nelle politiche annunciate da Trump.
L’incremento della spesa pubblica e la probabile accelerazione dei prezzi al consumo hanno spinto la Federal Reserve ad affermare che da ora in avanti sarà più semplice ricorrere, in caso di reale bisogno, ai tradizionali strumenti della politica monetaria (tassi d’interesse) per raffreddare l’economia.
Tradotto nel linguaggio dei mercati, queste aspettative significano che i tassi d’interesse ufficiali possono lievitare più del previsto. Lo stesso andamento potrebbe coinvolgere i tassi a lungo termine che le corporate sono costrette a pagare per finanziarsi sul mercato secondario del credito negli Stati Uniti.
Parte dell’impatto è già un dato di fatto. Il rendimento dell’indice Barclays-Bloomberg che misura l’evoluzione delle obbligazioni statunitensi emesse dalle società più affidabili è scivolato di 11 punti da quando Trump è salito al potere.
Tuttavia, a dispetto dello scenario delineato dalle banche d’investimento, l’Eurozona non è immune al contagio. I rendimenti dei sovereign bond e dei corporate bond europei sono cresciuti, in termini percentuali, anche più di quelli Usa. Nonostante ciò, il differenziale di rendimento resta ancora elevato e rappresenta una buona occasione di poter continuare a usufruire di finanziamenti a basso costo per le imprese statunitensi.
Una società provvista di un rating investment grade che emette nel mercato europeo, può finanziarsi ad un costo medio annuo dello 0,95% (dato indicato dall’indice Barclays-Bloomberg dei corporate bond denominati in euro). Negli Stati Uniti, lo stesso indicatore evidenzia un costo di finanziamento medio annuo del 3,39%. Lo spread è di circa il 2,5%, un livello per nulla trascurabile.
In siffatto scenario, gli esperti credono che un rialzo –molto graduale- dei rendimenti dei bond quotati in Europa possa materializzarsi a causa del recupero dell’inflazione e dell’arrivo di un periodo di crescita più sostenuta. La situazione è molto diversa per il mercato Usa, dove alcune banche d’investimento sono pronte a scommettere che si potrà solo cercare di contenere il processo di normalizzazione della politica monetaria attivato dalla Federal Reserve. Solo una forte domanda di bond può essere in grado di rallentare l’aumento dei rendimenti.
Anche se non è semplice prevedere con esattezza quale sarà lo scenario reale tra quelli delineati, non è azzardato ipotizzare un travaso di emissioni dall’usd all’euro, per approfittare dei minori costi di finanziamento.
Questo non vuol dire che le società europee rinunceranno automaticamente a fare un salto nel mercato a stelle e strisce. La maggiore profondità del mercato nordamericano e l’accesso a profili di investitori più eterogenei rappresentano elementi in grado di garantire l’appetibilità del mercato obbligazionario Usa.