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Rialzo della Fed: non è uno scherzo
Questa settimana ha visto il terzo aumento dei tassi di interesse da parte della Fed. Il passaggio, per quanto scontato, non è insignificante: infatti è la prima volta dal 2006 che vengono decisi tre rialzi. In qualche maniera, dunque, si è usciti da quella che era una fase a tentoni e si può affermare che gli Stati Uniti stanno cominciando davvero a uscire da un'epoca, quella dei tassi a zero.
Il problema è che le ultime due fasi storiche caratterizzate da processi di normalizzazione dei Fed Funds hanno coinciso con un disastro sul mercato azionario. Ovviamente ci vuole ben altro che portare i Fed Funds nell'area compresa fra lo 0,75% e l'1% per cambiare più di tanto gli equilibri dei mercati finanziari, però non si può fare a meno di notare alcuni elementi.
Innanzitutto quella attuale è l'economia in assoluto a minore crescita della storia americana in una fase in cui sia stato portato avanti un processo di rialzo dei tassi di interesse, tanto che non sono pochi quelli che sottolineano che il livello del costo del denaro di equilibrio sul lungo periodo, in sé un concetto piuttosto arbitrario, si è abbassato parecchio.
Aggiungiamo poi un paio di altre considerazioni: allo stato attuale l'equity risk premium americano è anch'esso ai valori più bassi mai visti, intorno all'1%. Ciò paradossalmente in una fase in cui comunque i tassi di riferimento e i rendimenti sul mercato obbligazionario, per quanto in forte risalita rispetto ai picchi assurdi del bull market del reddito fisso dell'estate scorsa, rimangono estremamente contenuti. Ora calcolare l'equity risk premium è qualcosa che spesso scade direttamente nell'esoterismo, però il fatto che le stime siano così basse e che molti investitori istituzionali prevedano comunque un derating dell'S&P 500, anche a fronte di un'accelerazione dei profitti e dell'economia, la dice lunga.
In pratica è molto difficile capire quanto un sistema a livello mondiale, che ha combattuto nell'ultimo decennio l'eccesso accumulato a livello di indebitamento creando ulteriori debiti, potrà reggere un incremento del costo del denaro in un sistema che rappresenta un quarto del Pil mondiale (oltre che il quarto a maggiore valore aggiunto). Anche di fronte a stimoli dati dal taglio delle imposte e da maggiori investimenti pubblici e privati, ci troviamo di fronte a un paese con più del 100% di rapporto debito pubblico/Pil e che quindi non si può permettere di vedere i Treasury rifinanziati a livelli eccessivamente più alti rispetto a oggi.
Per non parlare dell'elevata leva aziendale in alcuni settori, dell'indebitamento personale salito a nuovi massimi e di altri elementi inquietanti. La domanda dunque è: quali tassi può reggere davvero un'economia drogata dal costo del denaro a zero e la cui ricchezza, istituzionale e privata, è in buona parte legata a un mercato azionario caro e che ha dimostrato in passato di soffrire in maniera molto acuta le manovre di stretta monetaria?
Se fosse possibile rispondere con un minimo grado certezza a una domanda del genere, verrebbero risolti un bel po' di problemi nella gestione dei portafogli. Il guaio è che oggi questo elemento rappresenta forse il rischio principale del sistema: la metafora potrà sembrare un po' azzardata, ma immaginare un percorso di sospensione dell'uso di stupefacenti per un tossicodipendente di lungo corso non è mai qualcosa di semplice.
L'unica cosa che è bene consigliare è mantenere gli occhi aperti: anche se finora la Fed è stata ultra-cauta, non si può considerare il primo vero processo di rialzo dei tassi negli Stati Uniti da oltre un decennio come uno scherzo.