- SEI UN CONSULENTE FINANZIARIO AUTONOMO?
- Scopri i vantaggi del nostro servizio
Consumi in progresso
E’ uno degli obiettivi dichiarati del governatore della Banca centrale Mario Draghi, che mediante il Quantitative easing sta faticosamente cercando di spingere i consumi nell’Unione Europea, e in particolare nelle economie a più bassa crescita (Italia in primis) e portare l’inflazione perlomeno in zona 2%.
Impresa non facilissima quest'ultima: secondo i dati diffusi dall'Eurostat a maggio 2017 l'inflazione annuale dell'area euro si è attestata all'1,4%, in calo dall'1,9% di aprile.
Passando all'Italia i dati non cambiano granché: l'Istat ha reso noto che, nel mese di maggio 2017, l'indice nazionale dei prezzi al consumo per l'intera collettività, al lordo dei tabacchi, è diminuito dello 0,2% su base mensile e ha registrato a maggio un aumento annuale dell'1,4% (ad aprile era +1,9%), confermando la stima preliminare.
E' bene ricordare, tuttavia, che se l’inflazione si attestasse al di sopra di questi livelli rappresenterebbe il segnale più evidente che i consumi sono in rafforzamento e sono in grado di sostenere la crescita.
Si consolida, quindi, a un ritmo moderato, la fase di ripresa dei consumi delle famiglie avviatasi nel 2014, in un quadro macroeconomico caratterizzato dal quarto anno consecutivo di aumento del loro reddito disponibile, da un lieve incremento della propensione al risparmio e dal consolidamento della ripresa del Pil.
Ciononostante, la spesa media mensile familiare rimane al di sotto dei 2.639,89 euro del 2011, valore raggiunto prima di due anni consecutivi di calo. Un quadro analogo si registra anche per la spesa in termini reali: la variazione dei prezzi al consumo è infatti risultata prossima allo zero sia nel 2016 (-0,1%), sia nel 2015 (+0,1%) e nel 2014 (+0,2%). Al netto del costo (stimato mediante i cosiddetti affitti figurativi) che le famiglie dovrebbero sostenere per prendere in affitto un’unità abitativa con caratteristiche identiche a quella in cui vivono e di cui sono proprietarie, usufruttuarie o che hanno in uso gratuito, la spesa media familiare è pari a 1.935,09 euro, in aumento dell'1,3% rispetto al 2015.
Il livello medio della spesa alimentare è pari a 447,96 euro mensili (era 441,50 euro nel 2015). Quella per carni, pur restando la componente alimentare più importante, torna a diminuire, attestandosi a 93,53 euro mensili (da 98,25 nel 2015). Le spese per frutta e vegetali aumentano entrambe del 3,1% rispetto al 2015, salendo rispettivamente a 41,71 euro e a 60,62 euro mensili. Pesci e prodotti ittici sono la voce con il maggiore aumento (+9,5%, fino a 39,83 euro mensili).
I consumi alimentari sembrano quindi confermare una crescente attenzione a una più corretta alimentazione. La spesa per beni e servizi non alimentari (2.076,41 euro al mese) cresce dello 0,9%. Tornano ai livelli pre-crisi le spese per servizi ricettivi e di ristorazione (+4,8%, da 122,39 a 128,25 euro) e salgono per il terzo anno consecutivo quelle per beni e servizi ricreativi, spettacoli e cultura (+2,9%, fino a 130,06 euro). Pur permanendo ampie differenze strutturali sul territorio, legate ai livelli di reddito, ai prezzi e ai comportamenti di spesa, il gap tra i più elevati valori del Nord-ovest (2.839,10 euro) e quelli più bassi delle Isole (1.942,28 euro) si riduce, passando da quasi 945 a circa 897 euro nel 2016.
Si amplia nel 2016 il divario tra le città metropolitane e i comuni periferici delle aree metropolitane e quelli sopra i 50mila abitanti (circa 376 euro in media al mese da poco meno di 100 euro del 2015) e tra città metropolitane e altri comuni fino a 50mila abitanti (poco più di 491 euro da meno di 200 del 2015). La causa principale di questa dinamica è nella marcata crescita della spesa media mensile per beni e servizi non alimentari delle famiglie residenti nelle città metropolitane.