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Armi, Trump è solo la ciliegina sulla torta
Le quotazioni dei principali fabbricanti di armi sono sui massimi storici dopo aver sperimentato un quinquennio di rialzi continui. L’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca ha solo accelerato un rialzo che viene da lontano
Le quotazioni dei titoli delle società focalizzate nel business della fabbricazione di armi hanno tratto enorme beneficio dall’azione combinata di una serie di fattori: arrivo di Donald Trump alla presidenza degli Usa, aumento del numero di operazioni belliche in Medio Oriente (con la Siria come epicentro), nuova ondata di attentati terroristici. Questo mix ha rappresentato la miscela ideale per alimentare le speculazioni sulla prossimità di un nuovo conflitto bellico su larga scala.
I titoli Lockhedd Martin, il maggiore fabbricante a livello planetario stando ai dati pubblicati dall’Istituto Internazionale di Studi per la Pace con sede a Stoccolma, accumula una rivalutazione nel primo semestre dell’anno superiore al 12%. Nello stesso arco temporale, le imprese che operano nel settore dell’alta tecnologia per la difesa –come Saab, Leonardo e Bae Systems- accumulano rialzi compresi tra il 15,5% e il 26,7%.
General Dynamics. Società specializzata nella costruzione di veicoli da combattimento, armi e munizioni, è cresciuta del 13,4% da gennaio a giugno. Raitheon, focalizzata in tecnologia per la sicurezza nazionale, sale dell’11%. Più significative sono le performance registrate da giugno 2016 a giugno 2017, con Saab in crescita del 50% e Generale Dynamics e Leonardo in accelerazione del 40%.
Al di là delle speculazioni sulla possibilità che le tensioni geopolitiche attuali possano sfociare in un conflitto di grandi dimensioni, quello che è indiscutibile e reale è l’incremento della spesa militare, variabile entrata da tempo in un ciclo rialzista che non ha incontrato alcuna battuta d’arresto. Nel 2016, la spesa complessiva ha raggiunto quota 1.618 mld di dollari Usa, in crescita dello 0,4% rispetto al 2015.
Nel complesso, gli Usa rappresentano 611.000 milioni di usd (in aumento dell’1,7%). Le spese militari della Cina sono state di 215.000 mln di usd nel 2016, in aumento del 5,4% rispetto al 2015. Gli esperti del settore sostengono che l’incremento della spesa sarà alimentato nei prossimi anni dagli acquisti massicci realizzati dai principali alleati degli Stati Uniti.
Il comparto ha tratto beneficio anche dal recente accordo tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita –per un ammontare complessivo di circa 110 miliardi di dollari- relativo alla vendita di armi necessarie a far fronte all’avanzata dell’Isis –come spiegato dalla Casa Bianca- che ha rappresentato solo l’ultimo di una serie di fattori che hanno innescato il trend rialzista iniziato dalle azioni del comparto nel 2011 (in seguito allo scoppio della ‘Primavera Araba’).
Gli equilibri all’interno della Nato vengono messi in discussione in un periodo in cui le relazioni tra Usa e Russia sembrano destinate a migliorare in virtù dei buoni rapporti tra Trump e Putin. Molti osservatori credono che lo scenario che si sta delineando sia frutto di un piano a lungo termine di Putin, che punta a una rottura dell’eurozona. I rapporti tra l’area euro e la Russia si sono deteriorati nel 2014 a causa dell’intervento militare della Russia in Ucraina e delle successive restrizioni imposte dall’eurozona al commercio con Mosca.
Lo scenario fin qui descritto è potenzialmente favorevole a un incremento della spesa militare. Queste aspettative stanno spingendo al rialzo le quotazioni dei grandi fabbricanti di armi, che corrispondono nella maggior parte dei casi ad aziende Usa. I dati aggiornati al 2014 mostrano che sette delle prime dieci società del segmento sono statunitensi. Le restanti tre della top ten sono compagnie europee.