- SEI UN CONSULENTE FINANZIARIO AUTONOMO?
- Scopri i vantaggi del nostro servizio
Un’Europa che non può permettersi di rallentare
Martedì 5 settembre è arrivato il dato definitivo sul Pmi composite dell'Eurozona per agosto. Questo indicatore, il cui acronimo sta per Purchasing managers index, viene pubblicato ogni mese ed è elaborato, sia sul comparto manifatturiero, sia per i servizi e (come nel caso odierno) dell'economia in generale.
Come si può intuire dal nome, esso viene messo a punto analizzando le risposte dei direttori di acquisto sulla situazione del loro business, delle condizioni e prospettive occupazionali dell'andamento dei prezzi e dell’incremento degli ordini. Il Pmi viene considerato di fatto il principe dei cosiddetti soft data, ossia quei numeri macroeconomici che vengono elaborati a partire da aspettative e non da effettivi riscontri di mercato. L'importanza di questo indicatore deriva da una comprovata accuratezza in termini di correlazione con l'andamento del Pil, ovviamente applicando un adeguato lag temporale.
E in Europa il Pmi composite definitivo per agosto è risultato 55,7, con una revisione al ribasso di 0,1 rispetto alla prima lettura. Questo valore è invariato rispetto a luglio e, complessivamente, il livello mostrato è ancora coerente con un quadro di buona espansione. Infatti la soglia di 50 viene considerata lo spartiacque fra un'economia in crescita e una in recessione.
Se analizziamo i due componenti principali, però, manifattura e servizi, vediamo che qualche crepa comincia a farsi vedere. Le industrie per la verità continuano a girare a pieno regime: infatti in questo ambito ad agosto si è registrato l'ennesimo rialzo, pari a +0,8 punti, per un totale di 57,4. Viceversa, però, nei servizi si è avuto un ulteriore calo di 0,6 punti, con un totale di 54,7. Questo valore ovviamente è tutt'altro che drammatico, però rappresenta pur sempre il minimo degli ultimi sette mesi. In particolare la Francia mostra qualche problema con i servizi a quota 53,5, ossia il livello più basso degli ultimi mesi.
Va da sé, però, che ad esempio l’Italia, pur mostrando un minimo di aggiustamento al ribasso in agosto, vede comunque emergere dal Pmi un grado di forza nel terziario che non si vedeva da un decennio. Dunque non siamo ancora di fronte a scenari preoccupanti in Europa e neppure nel resto del mondo. Ma non si può negare che un certo malessere sui mercati si sia di recente diffuso, fra Asia (India in primis) in rallentamento, follie nord-coreane, mancato decollo della trumponomics e altri fenomeni poco positivi.
Non è sorprendente che nel mese appena finito l'indice di fiducia degli investitori calcolato da State Street sia calato di 2,1 punti, passando da 108,9 a luglio a 106,8. Questo indice peraltro è più simile a un hard data che a un soft, in quanto si basa sulle scelte effettive di asset allocation in attività rischiose da parte di investitori istituzionali. Un valore pari a 100 rappresenta la soglia della neutralità, in cui i capitali non stanno venendo né tolti né aggiunti ad asset rischiosi sul lungo periodo.
È peculiare il fatto che a registrare il calo peggiore (-4,9 punti) siano stati proprio gli investitori europei, il cui grado di propensione al rischio peraltro rimane molto più basso rispetto a Usa e Asia ( 89,3 vs 111,8 e 99,3). Ribadiamo: si tratta di dati troppo parziali per parlare di fine della ripresa europea. Va però tenuto a mente un elemento: altre fonti di boom al mondo attualmente non ce ne sono e l'Europa può contare solo su se stessa; anzi è il resto del pianeta che oggi guarda al Vecchio continente per trovare ottimismo, uno scenario francamente non dei più rassicuranti.