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Soffia di nuovo il vento dell’Est
Dopo aver fatto i conti con un periodo molto difficile, alcune economie dell’Europa orientale hanno ricominciato a macinare buoni risultati e offrire opportunità interessanti d’investimento
Repubblica ceca e Slovacchia, due delle nazioni più industrializzate dell'area, nonché le ultime due realtà a essere state promosse al rango di paesi ad alto reddito da parte del Fondo Monetario Internazionale, hanno mostrato nei primi due mesi dell'anno un aumento del Pil su base annuale pari a rispettivamente +3% e +4,5% per Praga e +3,1% in entrambi i trimestri nel caso della Slovacchia.
Ungheria e Polonia mostrano anch'esse un quadro di grande forza con incrementi economici nei due trimestri rispettivamente del 3,8% e 3,6% e del 4,2% e 4,4%. Addirittura la piccola e fino a pochi anni fa disastrata Slovenia ha mostrato nel secondo trimestre del 2017 un aumento del Pil del 5%.
In particolare, però, vale la pena concentrarsi sulla Polonia, che rappresenta di gran lunga l'economia più importante nell'Europa orientale, nonché una storia di autentico miracolo nell'ambito delle transizioni non sempre cristalline all'economia di mercato. Dai primi anni ‘90 il paese non ha mai vissuto un anno di contrazione economica, neppure nel 2009 (uno dei pochissimi casi al mondo) e nei disastrosi anni successivi. Oggi questa nazione cresce con un ritmo che, secondo uno studio di McKinsey&Company, se mantenuto fino al 2025, dovrebbe permetterle di raggiungere un Pil pro capite a parità di potere d'acquisto pari all'85% della media europea, raggiungendo così nazioni come il Portogallo e forse anche l'Italia.
Gli indici di borsa locali, dopo anni difficilissimi, hanno ripreso da metà 2016 a sovraperformare il resto del mercato europeo, con divise in rafforzamento rispetto all'euro: un risultato notevole, se si pensa alla forza della moneta unica di questi tempi. Se la transizione descritta dovesse continuare in maniera sostenibile, a quel punto si aprirebbe un nuovo mondo di opportunità come mai se ne sono viste nell'Europa centro-orientale.
Allo scoppio della crisi finanziaria una buona parte dei paesi dell’area si trovò in una situazione di crisi piuttosto pesante. Alla recessione planetaria si aggiunsero, infatti, alcuni problemi specifici, peraltro comuni nelle economie emergenti: alto debito estero, forti passività in valuta estera, economie specializzate soprattutto nella trasformazione di beni industriali intermedi per il mercato europeo e un quadro demografico poco roseo.
Queste caratteristiche generarono recessioni piuttosto dure e prolungate, anche se con gradazioni molto diverse, al punto che dovette intervenire il Fondo Monetario Internazionale a stabilizzare la situazione. Per quei paesi che non avevano adottato l'euro come divisa nazionale la crisi è stata caratterizzata anche da lunghe e intense svalutazioni. Oggi il quadro appare radicalmente diverso: dopo un biennio di incoraggiante ripresa, questa zona del mondo sta crescendo a tassi doppi rispetto a una già robusta ripresa europea.
Le trasformazioni che saranno necessarie sono però profonde: il livello di produttività della manifattura dovrà essere migliorato, creando possibilmente marchi propri riconosciuti internazionalmente e aprendo nuovi mercati di sbocco oltre all'Ue, migliorando nel frattempo molti segmenti domestici dell'economia locale ancora arretrati. La sfida non è da poco e per certi versi ricorda quella già superata da Taiwan e Corea negli anni ‘90.