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La magia di Draghi
Bisogna riconoscere che probabilmente Mario Draghi è, fra le altre cose, un genio della comunicazione. I sentori si erano già avuti da quel “whatever it takes” pronunciato nel 2012, che bloccò la speculazione sull’euro ed è ormai probabilmente passato alla storia europea, ma la conferma è arrivata giovedì 26 ottobre. Riassumiamo rapidamente: a partire dal gennaio 2018 gli acquisti mensili di bond (titoli di stato, corporate e Abs) passeranno da 60 a 30 miliardi di euro, mentre il quantitative easing è stato prolungato fino alla fine di settembre.
I mercati hanno reagito in maniera positiva, con l'euro spinto notevolmente al ribasso nei confronti di quasi tutte le divise sulla Terra. In pratica il presidente della Bce è riuscito a fare passare come una decisione da colomba un taglio al programma che diminuisce (per il momento) gli acquisti di asset per l'anno prossimo a 270 miliardi contro i 720 del 2017. In generale va detto che gli investitori hanno un po' l'abitudine di capire ciò che gli fa comodo capire, ma non si può negare che Draghi in conferenza stampa ha condito le sue decisioni con parole talmente rassicuranti da avere invertito il significato delle azioni concrete.
Innanzitutto ha ricordato che l'economia europea è in buone condizioni, ribadendo però che l'inflazione è ancora lontana dal target della Bce, tanto che per il 2019 è stato previsto solo un modesto rialzo dai livelli attuali del Cpi (intorno all'1,2%) fino all'1,5%. Come si vede è difficile che il target del 2% venga toccato in un futuro prossimo. Di conseguenza è stato annunciato che i tassi di interesse non saranno rialzati fino a un periodo ben posteriore alla fine ufficiale del Qe. Inoltre è stata esclusa una manovra di rientro delle dimensioni del bilancio della Bce, che ormai sfiora i 4 trilioni di euro.
Insomma all'orizzonte di Francoforte non appare nessuna inversione di rotta in stile Fed. Al contrario, e con ciò arriviamo al punto più importante, dal board della Bce è arrivata una promessa piuttosto esplicita di tornare a innalzare il livello di acquisti mensili di bond se le condizioni economiche dovessero deteriorarsi. Se torniamo invece indietro allo scorso settembre alla riunione della Fed, non si può non notare la differenza: la presidente Janet Yellen ha infatti manifestato preoccupazione sul fatto di rimanere indietro rispetto alla curva del ciclo americano, forse l'unica vera dichiarazione da falco proveniente dai vertici della Banca centrale statunitense in almeno una dozzina d'anni.
In pratica Mario Draghi è riuscito a fare credere a tutti che comunque oggi la Bce rimane una delle istituzioni monetarie più accomodanti che ci siano sulla Terra e che ha abbandonato qualsiasi forma di velleitarismo ideologico: siamo dunque entrati nell'era di una Bce “data-driven”, disponibile a tornare rapidamente all'approccio di questi anni al primo segnale che qualcosa sta andando storto.
Parole come queste sono per i mercati semplicemente una manna, in quanto confermano che tutto va bene e che se però le cose dovessero andare un po' meno bene si tornerebbe all'antico immediatamente. Praticamente un via libera a spingere sulle tesi di investimento più cicliche in voga ultimamente, il tutto mentre si taglia della metà lo stimolo monetario effettivo. Adesso non resta che sperare in un’America in grado di reggere la propria baracca in una transizione che anche solo due anni fa nessuno avrebbe ritenuto possibile.