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Lo stop loss per limitare il rischio
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In una fase abbastanza turbolenta dei mercati azionari è sempre molto complicato riuscire a orientarsi. Soprattutto dopo una perdita consistente il grande dubbio è capire se è meglio scappare finché si è in tempo, magari incassando una discreta percentuale dei guadagni che si sono realizzati negli anni o nei mesi precedenti, oppure se è preferibile mantenere i nervi saldi e incassare senza fiatare le prime perdite. Del resto è notorio che in borsa a periodi ottimi fanno seguito spesso fasi di correzione che poi rappresentano un punto di ripartenza; molti cali in realtà sono solamente occasioni d’acquisto.
Il pericolo vero, però, è rimanere intrappolati dentro una scelta che si rivela sbagliata. Facciamo un esempio pratico: un investitore compra un titolo a 100 e dopo un po’ questo comincia a scendere pesantemente. Mettiamo che arrivi fino a 50: chi l’ha comprato e l’ha mantenuto prima di rivedere le quotazioni a 100 deve aspettare magari anni. Chi acquistò, tanto per citare un caso reale, il Nasdaq all’inizio degli anni 2000, quando veleggiava intorno a quota 5.000, ci ha messo più di 15 anni per pareggiare l’investimento. Poi la tecnologia è stata una delle migliori scelte, ma chi fosse entrato alla fine degli anni ‘90 avrebbe dovuto incassare perdite continue. Se avesse invece venduto immediatamente e avesse riacquistato quando fosse ritornato il bello, avrebbe realizzato un’ottima performance.
A questo punto che fare? Sostanzialmente, senza entrare in discorsi tecnici molto complessi e difficili da gestire anche per il più capace money manager di un fondo multi-asset, un risparmiatore che giochi in borsa per piacere e che rischi poco ha un’opportunità fondamentale: utilizzare gli stop loss.
Come dice molto chiaramente la parola, con questa tecnica, si stabilire al momento in cui si acquista quali perdite si è disposti a sopportare. Facciamo sempre l’esempio del titolo pagato 100 euro: nello stesso momento in cui si compra si dà l’ordine al broker di venderlo non appena tocca una data soglia, mettiamo quota 95. A questo punto ci si garantisce che la perdita non può superare un dato livello e si salva almeno il 95% del capitale, che può essere utilizzato nuovamente non appena i mercati tornano positivi.
Ovviamente, se l’azione sale a 110, conviene spostare lo stop loss a quota 105, mantenendo comunque un buon guadagno, anche se si vende in un momento difficile. Probabilmente il modo migliore per fissare la barriera di uscita è proprio stabilire una percentuale, più che un cifra fissa: cioè uscire, per esempio, ogni volta che il calo raggiunge il 5%.
Ma operare con una strategia di stop loss non è per nulla facile. Facciamo il caso di un titolo che ondeggi del 5-6%: si corre il rischio di perdere ogni volta che scende del 5% e di rientrare nei casi in cui raggiunge il 5% di guadagno: in pratica c’è il pericolo di mettere a segno una serie di perdite nell’ambito di un mercato sostanzialmente stabile.
Inoltre c’è un altro elemento psicologico che rende difficile la gestione dello stop loss: chiudere una posizione in perdita è sempre molto difficile. Nel momento in cui si tocca il livello di uscita si è sempre tentati di restare ancora dentro, con la speranza che il mercato si riprenda velocemente.
Infine è molto complicato stabilire i livelli di uscita: in una fase di grande volatilità il 5% di variazione può essere abbastanza poco e si rischia di entrare e uscire in continuazione, probabilmente con poco costrutto. In un lungo periodo di scarsa o nulla volatilità, come è avvenuto negli ultimi due anni, una variazione negativa del 5% è del tutto eccezionale e indica una correzione non da poco.
Ma varrà la pena ritornare su questo argomento con alcuni esempi pratici legati all’andamento recente dei mercati.
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