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Euro, un trend secolare
Di recente l'euro sembra avere messo in pausa la propria corsa al rialzo, raggiungendo i minimi da gennaio nei confronti del dollaro, verso il quale è praticamente invariato dall'inizio dell'anno. A dare una mano in questa direzione sono stati alcuni dati economici tutt'altro che entusiasmanti usciti dal Vecchio continente nelle ultime settimane e sottolineati anche da Mario Draghi nell'ultimo meeting della Bce.
A influenzare il mercato Forex sono anche il differenziale dei tassi, soprattutto a breve, fra due valute e le anticipazioni sul ciclo economico. In questo ambito in Europa sembra esserci una chiara dualità fra le tendenze secolari e cicliche. Per quanto riguarda le prime sostanzialmente la moneta unica è in un mercato ribassista rispetto al biglietto verde dall'estate del 2008, quando toccò quota 1,60. Quell’epoca, oltre che l'inizio della crisi finanziaria, marcò anche la fine di quella che è stata l'ultima era d'oro del Vecchio continente: nella fase 2003-2007 l'andamento macro europeo fu più che decente, in particolar modo a livello pro capite, rispetto a quello americano, ma non è un segreto che l'ultima decade sia stata piuttosto cattiva per l'Eurozona.
All'interno di questa lunga fase di aggiustamento strutturale, però, vi sono stati importanti bull market ciclici, significativi per intensità e durata. Ad esempio dopo i minimi del giugno 2010 sotto 1,19 si è risaliti sopra quota 1,49 nel maggio del 2011, un rafforzamento del 25,8%. Poi dal luglio del 2013, con minimi intorno a 1,204 si è arrivati a sfiorare quota 1,40 nel maggio del 2014, per un'ascesa totale di circa il 16,2%.
Da questi dati si possono intuire alcuni elementi: innanzitutto spesso l'euro è tornato in auge dopo periodi di cupo pessimismo sulle sorti dell'Europa. Nei casi precedenti ciò era avvenuto all'interno di una politica monetaria più rigida. Nel caso attuale, invece, la Bce non ha neppure cominciato a parlare di normalizzazione, ma l'accelerazione economica dell'ultimo anno ha convinto diversi investitori che Francoforte in un futuro non molto lontano possa avere le mani più libere.
Il secondo aspetto da tenere presente è che il rally recente per il momento non è particolarmente intenso, né per durata, né per intensità: dai minimi poco sopra 1,03 nel gennaio 2017 si è passati a un livello superiore a 1,255 nel febbraio del 2018, un incremento del 21,4%. L'unica anomalia, appunto, è data dal fatto che tutto ciò è avvenuto mentre la Fed alzava i tassi. Anche se ciò si giustifica con il deterioramento del twin deficit statunitense e la generale poca fiducia che regna nei confronti della sostenibilità dell'attuale accelerazione americana. In pratica l'ascesa dell'euro si è fatta sentire quando si è cominciata di nuovo a diffondersi la percezione nel mondo finanziario che l'Europa, al pari di una dozzina di anni fa, avesse di nuovo annullato il differenziale di crescita economica con gli Stati Uniti.
Se ciò dovesse risultare vero a livello strutturale, non ci sarebbero limiti per tutto ciò che sono investimenti europei, moneta inclusa. Se si tornasse a uno scenario di rapida decelerazione, invece, si rientrerebbe in pieno nel quadro secolare di indebolimento. E diciamo subito che avrebbe una certa logica scommettere su tale eventualità, innanzitutto perché i problemi dell'Eurozona continuano a essere tutti lì, poi per il fatto che puntare su un indebolimento della moneta unica potrebbe costituire un buon hedging nel caso si avesse una posizione azionaria fortemente ciclica.
Probabilmente è piuttosto prematuro mettersi fortemente rialzisti sul dollaro, ma l’argomento va certamente ripreso.