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Btp, la visione dei pessimisti
Abbiamo esaminato in un primo articolo la possibilità, in una situazione di grandi cambiamenti per l’Italia, di mantenere in portafoglio o addirittura acquistare i Btp. Questo titolo, certamente il più rappresentativo dei bond governativi italiani, nelle ultime settimane ha visto incrementare il suo spread sul Bund da circa 130 punti base fino a quasi 350, per poi scendere, una volta che il governo è stato formato agli attuali 220 con un rendimento intorno al 2,60%.
In questo contesto oggi la grande massa dei risparmiatori italiani è chiamata a decidere che cosa fare di queste obbligazioni, che sono strettamente correlate all’andamento dell’Italia: qualora il governo italiano riuscisse a fare ripartire l’economia del paese e a risanare i conti pubblici, l’acquisto di un Btp alle attuali quotazioni sarebbe un ottimo affare, mentre se la situazione dovesse peggiorare il costo per un investitore sarebbe molto alto. In un precedente articolo abbiamo esaminato le ragioni degli ottimisti. Vediamo oggi quelle dei pessimisti.
I costi dello stato. Attualmente la spesa pubblica italiana è circa 900 miliardi di euro all’anno e, secondo diverse valutazioni, il costo annuale complessivo del “Contratto” fra i due partiti di governo è fra 120 miliardi e 200 miliardi annui. Prendendo come base la valutazione più ottimistica, significa un incremento del rapporto deficit/Pil del 7-8% all’anno, che comporterebbe, con l’aggiunta degli attuali livelli il raggiungimento del 10%. Se poi fosse vera l’ipotesi più pessimistica, si potrebbe arrivare al 16-17%. Considerando che in Europa è stato stabilito un tetto massimo del 3% e che comunque non c’è nessuno stato industriale avanzato che ha deficit nemmeno lontanamente paragonabili a questo, se queste riforme venissero davvero fatte significherebbe mandare i conti dello stato completamente fuori controllo. L’Italia a quel punto per finanziarsi dovrebbe emettere valanghe di titoli di stato, che potrebbero trovare un mercato solo a interessi altissimi. Ma se venissero pagati questi interessi, si entrerebbe in una spirale di aumento delle spese ancora peggiore e si avvierebbe un processo molto simile a quello che si è visto in Argentina. Il default in questo caso sarebbe l’unica possibilità.
C’è sempre un’altra via di scampo: che le promesse del governo rimangano carta straccia o che venga realizzata solo una minima parte. Certamente, però, la situazione di caos che si creerebbe tra esecutivo e i circa due terzi degli italiani che hanno votato la maggioranza non sarebbe delle migliori.
Euro. I vincoli dell’appartenenza all’area euro sono abbastanza forti e implicano per l’Italia il rispetto di parametri molto rigidi. Uno sforamento ai livelli appena descritti potrebbe portare all’esclusione o all’auto-esclusione del paese dalla moneta unica europea. E per essere chiari il vero rischio non è che il governo voglia uscire dall’euro, ma che venga buttato fuori dall’euro. In pratica, volenti o nolenti, si dovrebbe tornare alla lira, che non sarebbe certo una moneta protagonista in senso positivo sui mercati Forex. Anzi, una forte svalutazione è data per scontata e quasi benefica dagli stessi euroscettici. Se da una parte ciò agevolerebbe le nostre esportazioni, dall’altra si rischierebbe di annientare il valore degli asset italiani. Btp in testa.
Fuga di capitali. In un contesto di questo tipo, alle prime avvisaglie di crisi, chiunque abbia capitali in euro li ritirerebbe dalle banche, sperando di salvare il salvabile, e liquiderebbe gli asset destinati a essere trasformati in lire. Tra questi è inutile dire che i Btp e gli altri titoli di stato sarebbero i primi a essere rimessi sul mercato. Comunque in una situazione di questo genere la corsa agli sportelli non sarebbe certo fanta-finanza. Ma l’assalto alle banche significherebbe che gli istituti di credito sarebbero costretti a ritirare una consistente fetta di prestiti fatti alle aziende, con risultati terrificanti sulla struttura produttiva del paese.
Inflazione. Uno scenario di questo genere, cioè uno stato sommerso da impegni che non può mantenere e una moneta totalmente screditata sui mercati internazionali, potrebbe essere sostenuta solamente con la stampa di enormi quantitativi di nuova moneta da parte della Banca d’Italia. Insieme al fatto che pagheremmo i prodotti provenienti dall’estero, a cominciare dall’energia, cifre insostenibili, si creerebbe una massa di nuovo denaro svalutato enorme. In pratica una spirale inflazionistica fuori controllo. Anche in questo caso il fantasma dell’Argentina dovrebbe ricordarci qualcosa.
Conclusione. Questa che abbiamo esaminato è solo l’ipotesi dei pessimisti nei confronti delle riforme annunciate dal nuovo governo. Questa visione è condivisada una netta maggioranza degli economisti e degli analisti italiani ed europei. Una minoranza sostiene invece le tesi dell’esecutivo, insieme alla grande maggioranza della popolazione italiana. Nel precedente articolo abbiamo analizzato la visione più favorevole. Di fronte a queste ipotesi c’è da parte dell’uomo della strada una scelta molto precisa da compiere: comprare, mantenere o vendere i titoli di stato. Questa volta, a differenza delle elezioni, dove si può non andare a votare, non sarà molto facile astenersi. Sta a tutti noi decidere che cosa fare.