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Il nebuloso futuro delle Faang
Il mercato azionario ha visto, in questa pessima fase, un forte declino delle cosiddette azioni Fang (Facebook, Amazon, Netflix e Alphabet, holding di Google), diventate poi Faang con la rapida caduta di Apple. Tutte e cinque hanno messo a segno un bear market dai propri massimi storici raggiunti in questo 2018. L'ultima in termini temporali è stata appunto il colosso di Cupertino, che si riteneva meno fragile delle altre a causa di valutazioni comunque più contenute e di un marchio dal valore inestimabile, che sembrava in grado di fidelizzare i clienti come nessun altro.
Va detto subito che i bear market avvengono, ma non per questo il mondo e neppure le suddette aziende finiscono, va però anche aggiunto che essi tendono a essere particolarmente brutali al termine di una fase di crescita forse irripetibile, che ha condotto a multipli borsistici in alcuni casi inquietanti. Infatti oggi la questione che gli investitori devono porsi è se, passata la buriana attuale, di cui ovviamente non si conosce, né la durata, né l'intensità, questo gruppo di azioni tornerà a sovraperformare il mercato.
Quando diciamo “questo gruppo di azioni”, non intendiamo la tecnologia in generale o l'insieme definibile come growth, ma proprio le cinque specifiche Faang. Queste, infatti, presentano non pochi segni di maturazione, dovuti essenzialmente a due fenomeni fra loro intrinsecamente legati. Il primo è che in molti casi si è raggiunta praticamente la saturazione di mercato: se guardiamo ad esempio a Facebook, si vede che nel terzo trimestre del 2018 ha registrato 2,27 miliardi di utenti attivi mensilmente. Il rischio è che il proprio mercato, che non include gioco forza la Cina, si esaurisca fisicamente. Netflix nello stesso trimestre ha dichiarato di avere 137 milioni di abbonati: in questo caso lo spazio per crescere sicuramente c'è ancora, anche se comunque la massa raggiunta è già impressionante.
Dall'altra parte calcolare gli utenti di Amazon e Alphabet/Google è sostanzialmente impossibile, mentre nel caso di Apple si può vedere che il picco di smartphone venduti è stato nel 2015. Il colosso dell'elettronica di consumo permette di introdurre la seconda problematica in atto: la difficoltà ad alzare l'Arpu, ossia il fatturato medio per utente. L'ovvia eccezione in questo ambito è stata appunto Apple, che per oltre un biennio è riuscita a mettere le pezze al calo dei volumi di vendite di hardware alzando in maniera robusta i prezzi. Difficile è per le altre riuscire a cavare maggiore sangue da utenti già saturati di merci e pubblicità online, o meglio: una crescita magari ci sarà ancora, ma non certo paragonabile a quella degli anni recenti.
I fatturati di Alphabet e Facebook nell'ultimo anno e mezzo sono lì appunto a dimostrare questa tesi: Amazon riesce a mettere a segno incrementi superiori soprattutto grazie all'esplosivo business del cloud computing (praticamente sola fonte di profitto societario). Le aziende in questione, a parte Netflix che opera in un comparto ancora concorrenziale e con non enormi barriere all'entrata, sostanzialmente hanno operato con un modello di business che le ha viste a lungo in perdita man mano che le loro infrastrutture venivano costruite e i loro volumi di traffico crescevano.
A un certo punto è scattato un gigantesco dividendo dato dalle economie di scala e dalla posizione quasi monopolistica di cui godevano. In questa maniera è stato possibile, a fronte di fatturati relativamente modesti rispetto all'enorme massa di persone che usano questi servizi, generare Ebitda, Ebit, free cash flow e profitti quasi imparagonabili rispetto al resto del sistema economico. Per avere la conferma basta andare a vedere per tali aziende le metriche di valutazione tipicamente patrimoniali, quali il Price/book, il rapporto Enterprise Value/Ebitda, il Price/sales: in tutti e cinque i casi si hanno valori molto al di sopra rispetto alla media di mercato.
Il rischio per queste mega-aziende è non avere più davanti grandi margini di incremento in un mondo ormai saturo di questi servizi, pur magari mantenendo i loro elevati rendimenti. In pratica il pericolo è diventare ricche, avanzate e ben gestite utility. Non esattamente ciò che di solito gli investitori associano al concetto di growth.