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Coronavirus: Swg, gli italiani più preoccupati
Secondo una ricerca di Swg gli italiani sono molto preoccupati per l’aspetto sanitario e per l’aumentare delle incertezze sulla continuità dell’occupazione. Ora i cittadini sono molto più in pensiero rispetto a un sondaggio condotto un anno fa dalla società.
Come sta cambiando la nostra vita al tempo del Coronavirus? È il lite motive della più recente ricerca di mercato condotta dalla società specializzata Swg, condotta tra l’11 e il 13 marzo scorso. Il risultato non coglie di sorpresa: gli italiani sono molto più preoccupati, sia per quanto riguarda l’aspetto sanitario sia per l’aumentare delle incertezze sulla continuità dell’occupazione. Lo scenario è radicalmente cambiato rispetto alla fotografia scatta da un analogo sondaggio effettuato nella settimana precedente.
Abitudini modificate, le misure del Governo erano attese
La terza settimana della crisi da Coronavirus è stata segnata dalla decisione del Governo di estendere le restrizioni di movimento e le chiusure delle attività non di prima necessità. Così gli italiani, che hanno ridotto al minimo i contatti con le altre persone, ritengono che “le misure più restrittive prese dal Governo erano attese e auspicate dalla maggioranza”. Oggi, secondo Swg, “solo pochissime persone pensano che si stiano prendendo misure eccessive, mentre la maggior parte della popolazione sta facendo i conti con abitudini e ritmi di vita che sono cambiati” in modo rapido. Allo stesso modo gli italiani stanno scoprendo che il telelavoro “non è sempre così piacevole e agevole”.
Allargata la distanza tra le persone
Nel frattempo è mutato il modo di stare con gli altri (per il 91%), di divertirsi (per l’82%), di lavorare (per il 50%), la programmazione della spesa (per il 70%) e il modo d’informarsi (per il 64%). In sostanza, l’obbligo di tenere una distanza di sicurezza di almeno un metro rispetto alle altre persone sembra un concetto ben radicato nella popolazione, che spende più tempo sui nuovi mezzi per informarsi e divertirsi. È aumentata sensibilmente la tendenza a evitare il contatto diretto. In una sola settimana la scelta di tenere lontane le altre persone è diventata infatti maggioritaria: chi oggi cerca di tenersi a distanza rappresenta una quota del 68% (il 38 del 4-6 marzo), la quota di chi non stringe più la mano a nessuno è balzata al 58% (38%) e chi ha deciso di non frequentare luoghi affollati è salita al 69% (52%).
Più della metà degli italiani teme per il posto di lavoro
Per quanto riguarda la preoccupazione degli italiani rispetto alla pandemia è cresciuta in modo esponenziale, al pari della diffusione del Covd-19. Solo i provvedimenti del Governo (Dpcm dell’11 marzo) sembrano avere invertito leggermente la tendenza: la percentuale dei preoccupati era al 48% a fine febbraio, salita al 67% con la chiusura delle scuole nella settimana al 6 marzo, balzata al 91% nei giorni seguenti (con la Lombardia zona rossa) per poi assestarsi all’88% con l’annuncio dei provvedimenti del Governo. All’aumentare della preoccupazione è cresciuta anche l’esigenza degli interventi drastici: la quota di chi chiede misure più restrittive da parte delle autorità l’11 marzo era balzata al 53% (dal 39% del 6 marzo), per poi correggere al 50% dopo il Dpcm. Nello stesso tempo la percentuale di chi ritiene che le misure adottate siano eccessive è crollata al 3% dal 14% del 6 marzo (22% a fine febbraio). Intanto più della metà degli italiani (il 51% contro il 21% di fine febbraio) teme la perdita del lavoro a causa degli effetti generati dalla diffusione del coronavirus.
Il telelavoro non convince, pessimisti sulla durata della crisi
Un capitolo a parte è dedicato allo smart working, che per il 50% degli italiani rappresenta “un disagio, ma gestibile”. Percentuale che va ad aggiungersi al 6% che lo ritiene un “grave disagio”. La sperimentazione in prima persona delle difficoltà di lavorare da casa “con poco spazio, dotazioni limitate, l’assenza fisica dei colleghi e la presenza di bambini e familiari” si sta rivelando poco apprezzata. Sarà una novità per la realtà italiana, ma a questo punto bisogna prendere atto che solo per il 33% rappresenta un’opportunità e appena per il 9% “un sollievo”. Nel frattempo è peggiorato l’ottimismo sulla durata della crisi: nell’ultima ricerca Swg, per il 50% (44% a fine febbraio) ritiene che l’epidemia in Italia durerà ancora 2-3 mesi. Così come si sono sbriciolate le previsioni sui decessi. Se l’aspettativa prevalente è che il Coronavirus possa alla fine generare al massimo 5mila morti (33%), è aumentata la quota di chi non è in grado di elaborare una stima al riguardo (28%).