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Inflazione: si rivedono le problematiche degli anni Settanta

Il mondo è forse tornato indietro ai giorni neri vissuti nei primi anni ’70, quando si facevano i conti con shock petroliferi, carenze energetiche e, soprattutto, alta inflazione? A scatenare questo spettro sono gli effetti che sta avendo a livello mondiale la guerra in Ucraina.

12/04/2022
mani che indicano alcuni grafici su un tablet
Analisi sul ritorno dell'economia mondiale alla crisi dei primi anni '70

Gli eventi recenti in Ucraina hanno riportato alla mente la fotografia dei primi anni ’70, segnati da shock petroliferi, carenze energetiche, inflazione fuori controllo e disoccupazione elevata. È proprio in questo periodo storico che è stata coniata la parola 'stagflazione' (la contemporaneità di bassa crescita economica e alta inflazione), ritenuto fino ad allora impossibile da verificarsi. E invece, come sottolinea Stephen Kane, co-chief investment officer e co-director fixed income di TCW, forse siamo tornati proprio ai giorni neri vissuti oltre cinquant’anni fa. Prima di cercare una risposta ai nostri dubbi è bene capire dove il mondo è adesso e dove sta andando.

Le tensioni arrivano dal mercato del lavoro

Molti dei trend che hanno determinato un clima di bassa crescita dei salari stanno cambiando. In particolare, nota l’esperto, i dati demografici si muovono da buoni (gente in età lavorativa cresce più velocemente della popolazione in generale) a cattivi: dagli Usa al Giappone, dall’Europa a gran parte dei Paesi emergenti. I trend più recenti - relativi all’immigrazione e alla partecipazione alla forza lavoro di persone in età lavorativa, anche condizionati dal Covid - suggeriscono che alcuni dei venti favorevoli della manodopera stanno diventando contrari. Un quadro che, stima Kane, oltre a implicare per i prossimi anni un'inferiore crescita del PIL, potrebbe impattare sull’inflazione, soprattutto se la quota della popolazione che non lavora crescerà in modo sproporzionato, generando una forte domanda di prodotti e servizi dovuta a fattori come il sostegno statale e/o la liquidazione della ricchezza accumulatasi durante il mercato rialzista degli ultimi 40 anni.

L’influenza sui prezzi del commercio globale e della geopolitica

Sul fronte inflativo, per altro, si erano allungate già anche le ombre derivate dalla recente tendenza del commercio e dalla geopolitica globale (prima che la pandemia accrescesse le tensioni con la Cina), con gli USA che hanno tassato il commercio (tramite le tariffe) e limitato il trasferimento dei beni intellettuali (tecnologia). L’interscambio con la Cina aveva già iniziato a rallentare prima del 2020, ma il Covid, nello specifico i colli di bottiglia delle supply chain che ne sono derivati, ha evidenziato la necessità che le aziende globali semplificassero le catene di approvvigionamento avvicinando a casa la produzione, specialmente per quei prodotti ritenuti critici per la sicurezza nazionale e medica. Secondo Kane, se l’espansione del commercio globale ha incoraggiato la produzione e la distribuzione di merci e servizi a buon mercato, sembrerebbe logico che una parziale inversione di marcia potrebbe portare a merci e servizi più costosi.

L’effetto guerra sui prezzi

I primi mesi di quest’anno hanno confermato che la geopolitica è sempre un’incognita per l’economia e la finanza. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, come impatto di breve periodo, ha fatto da miccia ai prezzi energetici (estremamente più alti in tutto il mondo e soprattutto per l’Europa), ai metalli industriali e al grano: tutti prodotti che vengono esportati da quell’area. Questo trend ha chiare implicazioni stagflazionistiche nel termine più prossimo, riducendo la domanda e aumentando l’inflazione. E allora, si chiede Kane, siamo davvero tornati ai giorni neri degli anni ’70? Sì e no. Sì, perché non c’è alcun dubbio sul fatto che il 2022 e persino il 2023 vedranno una maggiore inflazione, un rallentamento della crescita e un forte potenziale di recessione. Sul fronte opposto, la previsione a lungo termine (3-5 anni) dell’esperto è no: non pensa che un tasso di inflazione a più del 4% sia sostenibile negli USA per un periodo di tempo prolungato.

Il peso del debito farà rientrare le tensioni

La ragione principale per cui dubita della sostenibilità a lungo termine di un’inflazione elevata, oltre a considerare che la tecnologia e l’automazione continueranno a essere forze disinflazionistiche, è il debito. Ciò significa, spiega Kane, che i maggiori tassi di interesse che accompagnano la maggiore inflazione avranno un duro impatto sull’economia: i budget dei Governi vengono schiacciati dai maggiori interessi passivi, mentre l’elevata leva finanziaria stressa consumatori e imprese, portando molti al default. In poche parole, il vaso si romperà e la domanda subirà l’impatto negativo di un ambiente caratterizzato da alta inflazione e alti tassi di interesse.

A cura di: Fernando Mancini

Parole chiave:

inflazione tcw stagflazione
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