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Inflazione: si rivedono le problematiche degli anni Settanta
Il mondo è forse tornato indietro ai giorni neri vissuti nei primi anni ’70, quando si facevano i conti con shock petroliferi, carenze energetiche e, soprattutto, alta inflazione? A scatenare questo spettro sono gli effetti che sta avendo a livello mondiale la guerra in Ucraina.
Gli eventi recenti in Ucraina hanno riportato alla mente la fotografia dei primi anni ’70, segnati da shock petroliferi, carenze energetiche, inflazione fuori controllo e disoccupazione elevata. È proprio in questo periodo storico che è stata coniata la parola 'stagflazione' (la contemporaneità di bassa crescita economica e alta inflazione), ritenuto fino ad allora impossibile da verificarsi. E invece, come sottolinea Stephen Kane, co-chief investment officer e co-director fixed income di TCW, forse siamo tornati proprio ai giorni neri vissuti oltre cinquant’anni fa. Prima di cercare una risposta ai nostri dubbi è bene capire dove il mondo è adesso e dove sta andando.
Le tensioni arrivano dal mercato del lavoro
Molti dei trend che hanno determinato un clima di bassa crescita dei salari stanno cambiando. In particolare, nota l’esperto, i dati demografici si muovono da buoni (gente in età lavorativa cresce più velocemente della popolazione in generale) a cattivi: dagli Usa al Giappone, dall’Europa a gran parte dei Paesi emergenti. I trend più recenti - relativi all’immigrazione e alla partecipazione alla forza lavoro di persone in età lavorativa, anche condizionati dal Covid - suggeriscono che alcuni dei venti favorevoli della manodopera stanno diventando contrari. Un quadro che, stima Kane, oltre a implicare per i prossimi anni un'inferiore crescita del PIL, potrebbe impattare sull’inflazione, soprattutto se la quota della popolazione che non lavora crescerà in modo sproporzionato, generando una forte domanda di prodotti e servizi dovuta a fattori come il sostegno statale e/o la liquidazione della ricchezza accumulatasi durante il mercato rialzista degli ultimi 40 anni.
L’influenza sui prezzi del commercio globale e della geopolitica
Sul fronte inflativo, per altro, si erano allungate già anche le ombre derivate dalla recente tendenza del commercio e dalla geopolitica globale (prima che la pandemia accrescesse le tensioni con la Cina), con gli USA che hanno tassato il commercio (tramite le tariffe) e limitato il trasferimento dei beni intellettuali (tecnologia). L’interscambio con la Cina aveva già iniziato a rallentare prima del 2020, ma il Covid, nello specifico i colli di bottiglia delle supply chain che ne sono derivati, ha evidenziato la necessità che le aziende globali semplificassero le catene di approvvigionamento avvicinando a casa la produzione, specialmente per quei prodotti ritenuti critici per la sicurezza nazionale e medica. Secondo Kane, se l’espansione del commercio globale ha incoraggiato la produzione e la distribuzione di merci e servizi a buon mercato, sembrerebbe logico che una parziale inversione di marcia potrebbe portare a merci e servizi più costosi.
L’effetto guerra sui prezzi
I primi mesi di quest’anno hanno confermato che la geopolitica è sempre un’incognita per l’economia e la finanza. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, come impatto di breve periodo, ha fatto da miccia ai prezzi energetici (estremamente più alti in tutto il mondo e soprattutto per l’Europa), ai metalli industriali e al grano: tutti prodotti che vengono esportati da quell’area. Questo trend ha chiare implicazioni stagflazionistiche nel termine più prossimo, riducendo la domanda e aumentando l’inflazione. E allora, si chiede Kane, siamo davvero tornati ai giorni neri degli anni ’70? Sì e no. Sì, perché non c’è alcun dubbio sul fatto che il 2022 e persino il 2023 vedranno una maggiore inflazione, un rallentamento della crescita e un forte potenziale di recessione. Sul fronte opposto, la previsione a lungo termine (3-5 anni) dell’esperto è no: non pensa che un tasso di inflazione a più del 4% sia sostenibile negli USA per un periodo di tempo prolungato.
Il peso del debito farà rientrare le tensioni
La ragione principale per cui dubita della sostenibilità a lungo termine di un’inflazione elevata, oltre a considerare che la tecnologia e l’automazione continueranno a essere forze disinflazionistiche, è il debito. Ciò significa, spiega Kane, che i maggiori tassi di interesse che accompagnano la maggiore inflazione avranno un duro impatto sull’economia: i budget dei Governi vengono schiacciati dai maggiori interessi passivi, mentre l’elevata leva finanziaria stressa consumatori e imprese, portando molti al default. In poche parole, il vaso si romperà e la domanda subirà l’impatto negativo di un ambiente caratterizzato da alta inflazione e alti tassi di interesse.