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Mercati: la guerra infiamma i prezzi delle materie prime
Prezzi delle materie prime alle stelle, soprattutto quelle energy, in accelerazione dall’inizio del conflitto: petrolio e gas sono rincarati di oltre il 30 per cento. Sugli scudi anche oro, grano e acciaio. Nonostante le pressioni inflative in aumento, la Fed conferma prossimo rialzo dei tassi Usa.
Prezzi delle materie prime alle stelle, ampia sbandata dei mercati azionari e quadro macroeconomico prospettico tutto da rivedere: la guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina ha rappresentato un vero terremoto per il mondo finanziario. Quello che è più grave e che 'leggere' il futuro è diventato molto più difficile: il conflitto, improvvisamente, ha inserito troppe variabili in un contesto reso già estremamente volatile dall’accelerazione dell’inflazione, dal rallentamento della crescita economica e dalle posizioni da falco anticipate da alcune principali Banche centrali. Sicuramente, come ha affermato il capo economista della Bce, Philips Lane, le stime sull’espansione del Pil dell’Eurozona saranno riviste in modo da riflettere le implicazioni che comporta la crisi Russia-Ucraina.
L’accelerazione dei corsi di petrolio e gas
L’impatto più immediato che si è avuto sui mercati dall’esplosione della guerra è quello visto sui mercati delle fonti energetiche, ovvero il petrolio e il gas: commodity su cui poggia buona parte dell’economia russa e da cui l’Europa è fortemente dipendente. Il Brent, il greggio del Mare del Nord, si è rapidamente arrampicato fino ai massimi degli ultimi dieci anni e ancora più ampia è stata la corsa descritta dalle quotazioni del WTI, che hanno toccato il tetto dal 2008. Mediamente, da prima dell’attacco di Mosca (24 febbraio), il petrolio si è apprezzato di oltre il 30%. Il mercato è rimasto indifferente anche davanti alla decisione dell’Opec di aumentare l’output da aprile di 400mila barili/giorno. In sintonia si è mosso il gas che ha toccato i nuovi massimi assoluti.
Record per grano, mais, acciaio e oro
La speculazione e la paura di una degenerazione del conflitto hanno fatto lievitare i prezzi anche delle altre materie prime, come il grano (che dall’inizio della guerra si è apprezzato di oltre il 47%), il mais (top degli ultimi nove anni) e l’acciaio (+35% circa). In deciso rialzo anche l’oro, porto sicuro per eccellenza in casi di guerra, che - con un rialzo di quasi l’8% rispetto ai corsi segnati prima dell’inizio del conflitto - è tornato a mettere nel mirino la soglia dei 2mila dollari/oncia. Un quadro che alimenta la preoccupazione degli investitori circa il probabile aumento dell’inflazione e un conseguenze ulteriore freno della crescita economica, tenuto conto che il petrolio è il 'motore' della produzione, dei trasporti, della vita dei cittadini.
Inflazione Ocse ai massimi da 31 anni
Le preoccupazioni per l’inflazione, che fino a poco fa gli esperti (in particolare i banchieri centrali) la fotografavano come provvisoria, sono quindi cresciute ancora di più. L’Ocse segnala che in gennaio nell’area ha toccato i massimi degli ultimi 31 anni (soprattutto per il contributo della Turchia) e, con la fiammata osservata in febbraio dopo l’attacco della Russia, è facile aspettarsi un ulteriore surriscaldamento. Le pressioni eccessive, se non sono facilmente ammortizzabili, potrebbero però essere loro stesse un fattore calmierante. Un’analisi di Morningstar rivela che in questi casi entra in gioco il prezzo del petrolio, il cui forte rincaro raffredderebbe la crescita (al netto di effetto sproporzionato), avendo gli stessi effetti di un rialzo dei tassi.
La Fed conferma la strada 'rialzista'
Il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, ha tuttavia cancellato eventuali illusioni al riguardo: pur riconoscendo le ripercussioni che sta avendo la crisi Russia-Ucraina, ha affermato di continuare a credere non solo che sia ancora "appropriato" un aumento dei tassi d'interesse di 25 punti base a marzo, ma non ha escluso una mossa ancora più rapida (di 50 punti base) durante il 2022 se persisteranno eccessive tensioni. La Bce si mantiene ancora su posizioni prudenti, sottolineando che è troppo presto per valutare l’impatto che potrebbe avere la guerra. Il suo vice presidente, Luis de Guindos, ha comunque messo le mani avanti: ha affermato che il dato sull’inflazione dell’Eurozona di febbraio (5,8%) è stata una sorpresa negativa per l’Eurotower.