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Schroders: tre scenari per il ritorno dell’inflazione
L’inflazione oggi è dovunque sotto stretto controllo, ma c’è il rischio di una sua rapida impennata principalmente per tre motivi: perché è già sottostimata, per possibili spese sfrenate delle famiglie col ritorno alla normalità ed eventuali errori di valutazione di Governi e autorità monetarie.
L’inflazione è oggi uno degli ultimi problemi per l’economia mondiale. Anzi, da più parti si continua a parlare del rischio che corre il mondo continuando a rimanere vicino al ‘burrone’ della deflazione. La stessa Bce, per quanto riguarda l’Eurozona, ha affermato che l’inflazione resta molto bassa, indicandone per lo scorso anno un tasso dello 0,2%, dell’1% per il prossimo e dell’1,1% per il 2022. Dunque l’andamento dei prezzi al consumo è sotto stretto controllo, eppure gli analisti iniziano a fare esercizi solo apparentemente accademici: la rapida crescita delle riserve di denaro e l’aumento dei corsi delle commodity iniziano infatti ad alimentare timori di un ritorno delle tensioni.
Il possibile impatto del surriscaldamento dei prezzi sui mercati
Dobbiamo veramente preoccuparci? Sicuramente gli investitori hanno buone ragioni per temere l’inflazione, afferma Keith Wade, chief economist and Strategist di Schroders, secondo cui le attese al momento scommettono su tassi d’interesse bassi sul lungo termine. Ciò si basa sull’assunzione che l’inflazione salirà lentamente per raggiungere il 2% solo a fine 2023. Se però accelerasse, bisognerà rivedere le politiche sui tassi per i prossimi tre anni: le Banche centrali sarebbero infatti costrette a ridurre la liquidità e il mercato dei bond a prezzare tassi più alti. Di riflesso si dovrà iniziare a riconsiderare le valutazioni azionarie. Allo stato attuale, non è facile immaginare come l’inflazione possa rappresentare una minaccia. Tuttavia, le preoccupazioni degli esperti permangono, al punto che in Schroders hanno individuato tre possibili ‘strade’ che portebbero l’inflazione ad accelerare.
Oggi è sottostimata a causa del Covid
La prima modalità è di tipo tecnico, legata al modo in cui viene calcolata l’inflazione. É risaputo che ci siano stati problemi nella misurazione dei prezzi dei servizi durante la pandemia. In primo luogo la chiusura di molte istituzioni ha impedito di raccogliere i dati in modo normale. Poi c’è stato un cambiamento nelle abitudini di spesa: i consumatori hanno ridotto viaggi, trasferte e uscite, mentre hanno aumentato la spesa in alimenti consumati a casa. Di riflesso i ‘pesi’ usati negli indici CPI, che si basano sulle abitudini di spesa in tempi normali, non sono allineati alla realtà determinata dal Covid-19. Per fare un altro esempio: poiché i prezzi del food sono aumentati e quelli dei trasporti sono diminuiti, l’utilizzo dei ‘pesi’ tradizionali comporta una sottostima dell’inflazione.
Spese frenetiche da parte delle famiglie
La seconda minaccia individuata da Wade è che l’aumento delle riserve di denaro rappresenti un eccesso di liquidità, in grado di generare un boom di spesa appena si tornerà alla normalità. Sebbene un aumento dei depositi durante una recessione non sia insolito, l’impennata degli ultimi mesi è senza precedenti. La domanda cruciale è se queste riserve verranno spese e con quale rapidità. È possibile che le persone non vedano l’ora di tornare alla normalità e di spendere, ma dall’altra parte potrebbero esserci alcuni effetti duraturi della pandemia e quindi più tempo perché le famiglie ritrovino fiducia. A conti fatti, la liquidità in eccesso, secondo l’esperto, dovrebbe dissiparsi gradualmente, mettendo meno pressione alla capacità dell’economia e ai prezzi.
Shock dell’offerta e Governi e Banche centrali in errore
Il terzo spettro è di lungo periodo e riguarda l’impatto strutturale del Covid-19 sull’economia. Se ci saranno cambiamenti permanenti alle abitudini di spesa sarà necessaria una riallocazione delle risorse, con i lavoratori che dovranno spostarsi verso i settori più favoriti. L'impatto iniziale di tale ‘aggiustamento’ sarà deflazionistico, con la disoccupazione che aumenterà e resterà elevata per un certo tempo. La minaccia inflazionistica potrebbe invece concretizzarsi in un secondo momento, nel caso che Governi e Banche centrali facessero l’errore di considerare la disoccupazione come di natura ciclica invece che strutturale. Un eccesso di stimoli potrebbe infatti generare inflazione, con la capacità di offerta dell’economia che non sarebbe così estesa come i dati sulla disoccupazione potrebbero suggerire.