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La difficile transizione spagnola
Lo shock Brexit ha praticamente oscurato per qualche giorno tutte le questioni irrisolte che attanagliano la politica europea, in primis le elezioni in Spagna.
L’appuntamento elettorale iberico si è svolto in un clima tutto sommato di scarso interesse a livello internazionale, che mal si concilia con l'importanza del paese. La Spagna infatti nel 2015 era, a livello di Pil nominale, la quattordicesima economia del Mondo. A livello nazionale, il ritorno alle urne, dopo appena 6 mesi, ha trovato spazio in una situazione di tensioni politiche e scontento sociale, nonostante la ripresa spagnola appaia essere uno delle più intense dell'Eurozona.
I risultati non hanno prodotto dei grandi sconvolgimenti: il Partido Popular ha guadagnato qualche seggio, soprattutto a spese di Ciudadanos, formazione di centro-destra di recente nascita di centro-destra ma orientata al voto giovanile, con Podemos che non è riuscita a superare il Psoe. Quest'ultimo ha mantenuto la seconda posizione in termini di percentuali e seggi, ma è comunque sceso al livello più basso della sua storia. L’astensione ha raggiunto livelli record, con poco più della metà degli elettori presentatasi alle urne.
E' interessante notare come il lunedì dopo la domenica elettorale, giornata che costituiva anche la seconda sessione di borsa post brexit, Madrid avesse aperto in controtendenza, in rialzo di circa il 3%, rispetto al disastro generale dei mercati azionari. Evidentemente questa volta gli investitori credono maggiormente alla possibilità di una grande coalizione fra Popolari, socialisti e altre forze, de facto l'unica alternativa possibile per non lasciare il paese nell'esercizio provvisorio perenne.
Dopo questa parvenza di resistenza, il mercato si è accodato alle altre piazze europee, dopo che il venerdì della Brexit l’Ibex 35 di Madrid aveva lasciato sul terreno oltre 12%, una variazione negativa senza precedenti e inferiore, di poco, solo alla performance da incubo del listino milanese.
Il segnale chiaro che sta arrivando è che nonostante un Pil dall'andamento più vivace di Italia e Grecia, la Spagna continua a far parte pienamente del Sud Europa, e che quest'ultimo si trova ancora in una posizione di debolezza intrinseca rispetto ad economie più solide, specialmente per quanto riguarda il settore bancario, che pesa in maniera molto forte sugli indici di tutti i paesi periferici dell’eurozona.
L'unica notizia che può forse essere positiva per le prospettive di stabilizzazione dei mercati, è la squasi-vittoria dei due partiti tradizionali spagnoli. Il dato rappresenta un segnale di relativa fiducia nei confronti dell'establishment politico europeo.
Resta il fatto che difficilmente ci si può sedere sugli allori: al primo segnale di crisi purtroppo il Sud Europa si trova sempre a subire le conseguenze di un processo di deterioramento economico, e malessere politico, che sembra non avere mai fine.
Per il nuovo governo spagnolo, così come per le autorità italiane, questa rappresenta la sfida più grande: riuscire a ristabilire un minimo di fiducia vera sui mercati, abbandonando il proprio ruolo di scommessa ad alto beta del panorama europeo.