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Le banche europee passano l’esame degli stress test
Dopo quelli del 2011 (concentrati sulla ricapitalizzazione del settore) e del 2014 (focalizzati sulla qualità degli asset in portafoglio), gli stress test di quest’anno hanno puntato l’attenzione sulla morosità, i non performing loan e la ricerca di possibili soluzioni al bisogno di ristrutturare i crediti deteriorati. Questa caratteristica ha fatto lievitare le preoccupazioni per lo stato di salute delle banche italiane, il cui tasso di morosità si è moltiplicato per tre dal 2008 (fino al 17,5%), con un volume complessivo di crediti deteriorati fissato a 337.000 mln di euro nel 2015. Di questi, 201.000 mln sono costituiti da sofferenze (crediti quasi impossibili da recuperare nella loro totalità).
Il livello delle sofferenze si è quadruplicato dall’inizio della crisi, a causa di un circolo vizioso addebitabile all’assenza di crescita economica e all’aumento dei casi di morosità (l’80% dei casi di morosità arriva dalle imprese e il 20% dai nuclei familiari). Intesa SanPaolo, Banco Popolare, Ubi e UniCredit hanno superato la prova. Mps no.
Per UniCredit, Intesa SanPaolo, Banco Popolare e Ubi Banca, l'impatto ponderato sul capitale (Cet1) derivante dallo scenario avverso è pari a 3,2 punti percentuali a fronte del 3,8 per cento della media del campione Eba.
Il carico di crediti deteriorati ha fatto sentire il suo peso su Mps, che ha chiuso le prove con un capital ratio di -2,1% nel peggiore degli scenari contemplati. Poche ore prima della pubblicazione dei risultati, Mps è riuscita ad ottenere il lasciapassare dalla Bce per procedere a una ricapitalizzazione da 5 mld e alla cessione di 27 mld di npl a un valore pari al 33% del nominale (corrispondenti a 9,2 mld netti). Sempre nel peggiore dei casi, UniCredit registrerebbe un Cet 1 del 7,1%, molto migliore di Mps ma sotto il floor dell’8% ritenuto ‘di sicurezza’ da numerosi esperti. Intesa SanPaolo è stata la migliore delle italiane con un Cet 1 del 10,21% nello scenario più avverso.
Le banche europee, con la sola eccezione rappresentata dal Monte dei Paschi di Siena, hanno superato venerdì scorso gli stress test effettuati dall’Eba. Un manipolo di istituti ha registrato, nell’ipotesi di scenario ‘adverse’, un Cet 1 inferiore all’8% (livello che le autorità europee e i mercati cominciano a reclamare come floor minimo).
Tuttavia, nel ristretto gruppo dei peggiori figurano giganti come i teutonici Deutsche Bank (7,8%) e Commerzbank (7,4%), l’italiano UniCredit (7,1%) e il britannico Barclays (7,3%). Nessuno di questi istituti ha bisogno di una ricapitalizzazione. Nonostante ciò, le pressioni esercitate dal mercato potrebbero farsi sentire in caso di scenario ‘adverse’. Oltre alla bocciatura di Mps, le prove hanno evidenziato le difficoltà in cui versano altri istituti sottoposti a piani di salvataggio: l’irlandese AIB (Cet 1 al 4,3%), il britannico Royal Bank of Scotland (8,1%). Stando ai dati, il processo di privatizzazione di entrambe le entità potrebbe subire ritardi. Tra i peggiori figura anche la banca austriaca Raiffeisen-Landesbanken con un Cet 1 del 6,1% al 2018 nel peggiore degli scenari contemplati.
Sul versante opposto, nel gruppo dei migliori, troviamo l’entità tedesca NRW con un Cet 1 del 35,4% nello scenario adverse, la svedese Swedbank con un Cet 1 del 22,26% nell’ipotesi peggiore al 2018.