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Fed, eppur si muove
Janet Yellen, Presidente della Fed, ha lasciato intendere che la Banca centrale Usa potrebbe apportare un mini-ritocco al costo del denaro entro la fine del 2016
Dall'annuale simposio di Jackson Hole è uscito ciò che gli investitori più volevano sentirsi dire: nell'ambito di una politica monetaria globale ultra-lassista, è possibile che la Fed rialzi quest'anno i tassi.
La ragione del maggiore ottimismo di Yellen & soci va ricercata nei dati economici locali e globali: in Usa l'occupazione, nonostante tutte le polemiche che accompagnano i dati sulla partecipazione alla forza lavoro, continua a essere su buoni livelli. Il Pil cresce a ritmi storicamente bassissimi (poco più dell'1,1% nella prima metà del 2016) con però una sovraperformance dei consumi, il cui incremento rimane sopra il 2%. A deprimere l'andamento totale sono state solo la componente del commercio estero e quella degli investimenti, soprattutto il capex aziendale.
Inoltre in giro per il mondo le cose sembrano non essere più a rischio catastrofe immediata: l'Europa prosegue, chi più chi meno, nella sua blanda ripresa, anche in tal caso soprattutto a livello di domanda domestica, mentre la Cina tiene, a costo di essere ripetitivi, grazie agli acquisti delle famiglie locali. Infine tanti emergenti disastrati sembrano mostrare segnali di stabilizzazione.
In pratica i mercati sembrano avere avuto la conferma del proprio più intimo desiderio: il fatto di essere lontani da una nuova recessione globale, ipotesi che veniva considerata un rischio reale solo all'inizio di quest'anno, per non parlare dei primi giorni post-Brexit. L'azione della Fed ha inoltre il vantaggio di andare a fare da contraltare alle politiche monetarie del resto del mondo. La Bank of England e il suo omologo giapponese hanno appena varato nuove misure di stimolo, mentre la Pboc cinese è impegnata ormai da oltre un anno ad abbassare i rendimenti reali pagati nel sistema finanziario locale, probabilmente i più alti nell'ambito delle maggiori economie. Draghi inoltre continua a inondare i mercati con 80 miliardi di euro al mese, cui vanno aggiunti gli effetti di altre misure, anche se in questo caso non bisogna dare per scontato che il programma continui oltre la data di scadenza ufficiale, nel marzo del 2017.
A fronte di tutto ciò sui mercati azionari è avvenuto quello che potremmo definire un processo di grande stabilizzazione. Ad esempio, per quanto riguarda la volatilità realizzata nel mese di agosto da parte della borsa Usa, si sono registrati i minimi degli ultimi 20 anni. I principali indici, dopo un luglio di poderosa ripresa, sembrano inchiodati vicino ai massimi storici. Stabili appaiono anche le altre piazze, anche se va detto che dall'inizio dell'anno hanno sovraperformato per l'appunto Usa e, ancora di più gli emergenti, cioè le aree considerate meno interessate dagli investitori, ancora focalizzati su Giappone ed Europa, appena in territorio positivo in questo 2016.
La spiegazione va cercata, nel caso del Giappone, nel ritorno di forza dello yen e, per quanto riguarda l'Europa, nel peso del disastroso settore bancario nonché nella minore base di investitori istituzionali. Va considerato in questo ambito che il ritorno di forza del dollaro, indotto da una Fed in atteggiamento un po' più falco, potrebbe aiutare non poco il resto del pianeta. Nel frattempo, pur nella modestia dei rendimenti forniti dai mercati quest'anno, godiamoci il gigantesco sospiro di sollievo da (ennesimo) scampato pericolo.