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Ridefinire il portafoglio obbligazionario
Per gli investitori più prudenti, quelli orientati agli strumenti offerti dal vasto universo dei titoli a reddito fisso, l’arrivo di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti ha rappresentato un vero terremoto.
Bond a scadenza medio-lunga e fondi ed Etf obbligazionari hanno subito gli effetti degli annunci fatti dal neo-presidente. La politica economica del nuovo esecutivo, almeno stando alle prime dichiarazione, sarà improntata all’aumento del deficit e della spesa pubblica per finanziare 1.000 miliardi di nuovi investimenti destinati all’ammodernamento delle infrastrutture statunitensi. Questo piano dovrebbe sfociare in tassi d’interesse più alti e nella ripresa dell’inflazione nel medio termine.
I titoli di Stato e le emissioni corporate a lunga scadenza sono stati i primi a subire i contraccolpi di tali dichiarazioni, ma i timori per le ripercussioni negative sulle quotazioni dei bond si sono diffusi anche ai bond emessi da paesi e aziende dell’universo ‘emergenti’, in modo particolare all’enorme massa di emissioni obbligazionarie degli Em denominata in dollari statunitensi. Se queste sono le tipologie di bond che potrebbero continuare a soffrire di più per le scelte della nuova amministrazione di Washington, quali sono quelle potenzialmente in grado di coniugare elementi difensivi e income?
Il programma economico del prossimo inquilino della Casa Bianca si basa su un aumento della spesa pubblica destinata alle infrastrutture e il taglio delle imposte seguito, verosimilmente, da un’accelerazione dell’inflazione. In Europa, le misure volute da Draghi sembra che comincino a sortire i primi effetti sull’andamento dei prezzi al consumo.
Anche se l’inflazione dell’eurozona resta ancora lontana dal target del 2%, la settimana scorsa il vicepresidente della Bce, Vítor Constâncio, ha affermato che nella primavera del 2017 l’indice dei prezzi potrebbe registrare una variazione annua dell’1%. Se queste aspettative saranno confermate dai dati reali, una soluzione per riuscire a portare a casa buoni rendimenti dal reddito fisso governativo europeo potrebbe trovarsi negli inflation linked bond (la versione italiana di tale tipologia di titoli è il Btpi).
Si tratta di bond che staccano cedole con cadenza semestrale e che, giunti alla loro scadenza naturale, restituiscono il capitale investito incrementato dell’inflazione accumulata durante la vita del titolo. In altre parole, si tratta di bond che consentono all’investimento di non perdere potere d’acquisto, in particolare durante i periodi d’inflazione elevata. Un’altra importante caratteristica di questi bond è che hanno più volte dimostrato di essere decorrelati rispetto ad altri asset tradizionali come i bond a tasso fisso o le azioni.
Un’altra opzione per restare nell’universo del reddito fisso senza correre troppi rischi è offerta dai titoli a tasso variabile. Questi bond consentono di proteggere il capitale nell’ipotesi di una sensibile accelerazione del ritmo degli incrementi dei tassi da parte delle banche centrali. Si tratta dell’opzione più sicura e meno volatile tra quelle fin qui esposte perché le quotazioni dei bond a tasso variabile tendono a oscillare poco e la variazione interessa quasi esclusivamente la cedola.
Infine, per gli investitori fedeli al reddito fisso ma più propensi al rischio, gli esperti focalizzano l’attenzione sul segmento degli High Yield Bond. Questi titoli sarebbero meno correlati alla variazione dei tassi e maggiormente condizionati dall’eventuale miglioramento del livello di affidabilità creditizia (rating) che potrebbe arrivare per molte aziende nel caso in cui la politica economica di Trump riesca a spinge la crescita). Questi titoli, a piccole dosi e con l’avvertenza di selezionare emissioni con scadenza non oltre il 2020, possono offrire un rendimento extra a un portafoglio orientato al reddito fisso.