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Brexit, Regno Unito come il Giappone
Il discorso della premier Theresa May questa settimana è servito agli investitori e ai commentatori del mondo finanziario, nonché a quelli politici, per tornare a concentrarsi sulla Brexit.
Vale quindi certamente la pena di cogliere l'occasione per analizzare l'argomento partendo da alcuni fatti. Innanzitutto il discorso di May è apparso per certi versi ambiguo: è stato tolto ogni dubbio circa il fatto che la gran Bretagna è intenzionata a uscire in maniera completa, ritirandosi dal mercato comune e anche dall'unione doganale, ma è stato aggiunto che il governo britannico vuole perseguire un ruolo davvero globale per il paese. Cinicamente da molti osservatori ciò è stato letto come un tentativo di mantenere i vantaggi commerciali con l'Unione Europea, riguadagnando però al contempo sovranità, soprattutto in materia di legislazione bancaria e fiscale e sull'immigrazione.
Finora siamo al pourparler di un processo lungo, che vedrà inevitabilmente momenti di drammatica tensione, ma ciò su cui finora ci si può confrontare sono i dati economici e l'andamento dei mercati finanziari. Se consideriamo che il referendum sulla Brexit è avvenuto poco più di sei mesi fa e ancora non si è mosso nulla, è possibile affermare con una certa convinzione che sia coloro che nel campo pro-Brexit si concentrano sulla relativa vitalità del paese a livello economico, sia quelli che nel fronte europeista puntano il dito su alcuni indicatori in flessione hanno torto.
Infatti si tratta di un fenomeno che finora ha generato incertezza e confusione, ma nessun provvedimento concreto difficilmente andrà a impattare su un orizzonte temporale così limitato nei confronti di un'economia incredibilmente complessa e avanzata come è quella della Gran Bretagna, che dipende da decisioni di investimento di lungo periodo, dal comportamento di milioni di consumatori, dal ciclo internazionale e da un'altra infinità di elementi.
Più interessante è osservare ciò che è successo agli asset britannici, anche perché in questo caso le opinioni contano, visto che si può senz'altro affermare che i prezzi delle attività finanziarie nascono dall'incontro di opinioni diverse. Il Footse 100, il principale benchmark azionario britannico, ha avuto una performance strepitosa a partire dal 23 dicembre fino al 13 gennaio, che era il venerdì prima del discorso di Theresa May. Una salita complessiva del 3,6% in realtà non è niente di eccezionale, però più curioso è il fatto che ciò sia avvenuto con tre settimane di crescita ininterrottamente positiva, per di più con una dozzina di record storici. Il Ftse 100 in pratica è andato costantemente su con bassissima volatilità e caratteristiche così lineari che si trovano raramente sui mercati finanziari.
Nel frattempo un altro fenomeno si è acuito: la correlazione inversa praticamente perfetta con la sterlina, che lunedì scorso, prima dell'intervento della premier, ha toccato i minimi dal 1985 rispetto alla divisa statunitense (a parte il recente flash-crash) sotto 1,20 dollari, per poi fisiologicamente rimbalzare. La situazione si spiega con il fatto che il listino britannico, pieno di grandi multi-nazionali che operano in tutto il mondo, genera oltre i due terzi del proprio fatturato al di fuori del paese.
Queste caratteristiche globali, e pure discretamente cicliche, hanno portato l'equity del Regno Unito in una situazione per certi versi simile a quella del Giappone in quest'era di Abenomics: fintanto che la svalutazione del pound durerà, e ci sono ragioni a livello di fondamentali perché essa continui, e la Brexit rimarrà nell'empireo delle idee, è molto probabile che gli sviluppi attuali sui mercati britannici continuino in maniera regolare.
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