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Il petrolio e l’incognita fracking
Il petrolio da scisto –shale oil- è uno dei key factors da prendere in considerazione se si vuole capire l’evoluzione del rapporto tra domanda e offerta del petrolio negli ultimi anni.
Negli Stati Uniti la produzione di shale oil (olio di scisto) è aumentata moltissimo negli ultimi dieci anni, grazie ai progressi tecnologici e alla disponibilità di capitale a basso costo, che hanno favorito la rinascita dell’industria petrolifera Usa, riportand
o la produzione statunitense ai livelli degli anni Settanta. Questo tipo di greggio, estratto con il ricorso alla tecnica del fracking, è stato il responsabile principale dell’overflow di offerta mondiale.
L’incremento dell’offerta ha provocato una caduta delle quotazioni a partire dall’estate del 2014. Il trend è stato così violento da innescare una serie di chiusure anche tra gli stessi siti di produzione dello shale oil.
Negli ultimi decenni la domanda mondiale di petrolio ha evidenziato un trend di leggera crescita: a livello globale infatti il calo dei consumi legato alle maggiori efficienze dei trasporti su strada, via mare e via aerea, è stato infatti compensato dall’esplosione dei consumi nei mercati emergenti. L’attuale domanda mondiale è pari a circa 93 milioni di barili al giorno, mentre il settore petrolifero deve aggiungere ogni anno l’equivalente di circa 6 milioni di barili al giorno per compensare i cali di produzione dei giacimenti esistenti.
Il recupero delle quotazioni del barile e la maggiore efficienza dei produttori sta riportando in auge questa tecnica estrattiva. Dopo la crisi del segmento provocata dal crollo delle quotazioni, qualcosa è cambiato a partire da maggio 2016: sono stati riattivati circa 200 pozzi orizzontali –la tipologia utilizzata per questo tipo di greggio- negli Stati Uniti e gli esperti credono che, in seguito al taglio alla produzione deciso dall’Opec e il successivo recupero dei prezzi del barile, gennaio possa rappresentare il primo mese, da aprile 2015, a registrare un nuovo incremento della produzione di shale oil. I dati elaborati dall’IEA evidenziano che il numero dei pozzi riattivati è passato dai 320 ai 503 attuali. Nello stesso periodo, il prezzo del petrolio West Texas ha recuperato il 75% rispetto ai minimi dello scorso febbraio.
L’accelerazione dei prezzi ha convinto i magnati del settore a riaprire i pozzi. Il costo di estrazione dello shale oil negli Usa oscilla tra i 40 e i 65 usd e la quotazione del West Texas ha superato la soglia dei 40 usd nell’aprile 2016. Al fattore prezzo del barile bisogna aggiungere che i produttori di scisto sono ora più efficienti rispetto al recente passato e sono riusciti ad abbassare il costo medio necessario a rendere redditizio l’investimento a 50 usd (Fonte: The Wall Street Journal).
Se le attese troveranno conferme nei numeri, il dato potrebbe frenare l’attuale trend ascendente delle quotazioni dell’oro nero. Ricordiamo che l’Opec ha annunciato il 30 novembre 2016 un taglio della produzione di circa 1,2 mln di barili e un accordo con paesi produttori non appartenenti al cartello per ulteriori 600.000 barili giornalieri. L’accordo ha spinto al rialzo le quotazioni del greggio in tempi brevi.
Le previsioni sul prossimo incremento della produzione di greggio da scisto sono state formulate dal Governo Usa attraverso l’IEA – International Energy, Agency-, spiegando che si basano su quanto sta accadendo in sette aree (le più prolifiche) che ospitano il 92% di tutto lo shale oil presente nel paese.