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Come reagirebbe il mercato di fronte alla fine del mondo?
Il quesito con cui intitoliamo la riflessione di oggi è chiaramente rivolto alla crisi nord-coreana e in generale alle crescenti tensioni fra le maggiori potenze militari del mondo, Usa, Russia e Cina. Cominciamo anche in questo caso partendo dalla fine, ossia dai risultati, dicendo che è impossibile rispondere a siffatta domanda.
Con questo non intendiamo liberarci del problema sostenendo che sia impossibile esprimere in numeri la progressiva reazione degli investitori di fronte a un’escalation di tensioni che portino all'Armageddon nucleare. Al contrario vi sono diversi modelli standard per esprimere questo tipo di reazioni. Infatti una semplice regressione logistica con il logit aggiustato per il fatto che le variabili indipendenti sono concetti ordinali e non grandezze quantitative ben definite potrebbe essere perfetto.
Infatti in questo caso stiamo parlando di una funzione binaria (o la guerra accade o non accade) e ai due scenari si può attribuire una probabilità a seconda dei mutamenti nella situazione geopolitica. Ad esempio potremmo così costruire una regressione multi-variabile con tre variabili (tensione con la Russia, tensione con la Cina, tensioni specifiche con la Corea del Nord) che vanno in scala da 1 a 5, dove a ciascun numero potremmo attribuire una definizione. Il primo gruppo potremmo chiamarlo “tutto tranquillo”, il secondo “forti divergenze”, il terzo “situazione tesa”, il quarto “rottura del dialogo” e il quinto “dichiarazione di guerra”.
Come abbiamo accennato, non è possibile quantificare in maniera esatta la distanza che separa l'una dall'altra, ma sappiamo che si tratta di cinque stati chiaramente differenti fra loro e ordinabili gerarchicamente. Nulla cui la moderna statistica non abbia dato consolidate risposte.
E allora dov’è il problema che rende capzioso l'esercizio? Se andiamo a vedere l'andamento degli asset rischiosi nelle ultime due settimane, una certa debolezza e un certo malessere si notano, ma nulla di straordinario, vista anche la salita dei mesi precedenti e i rischi di stallo nel processo di riforme in Europa e in Usa. Gli stessi mercati coreani e giapponesi hanno reagito in maniera molto blanda ai rischi di escalation.
Ai lettori verrà spontaneo notare che probabilmente nessuno prende sul serio due come Kim Jong-Un da una parte e Donald Trump dall'altra, almeno nei loro propositi più bellicosi. L'obiezione non è priva di merito ovviamente, ma dall'altra parte sarebbe assolutamente logico tutto sommato stare calmi, anche se fossimo in presenza di minacce portate avanti da attori più credibili e meno simili ai cattivi di un cartone animato di dubbia qualità.
Infatti vendere tutto di fronte alle prospettive di apocalisse appare tecnicamente definibile come chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati. Oppure come vendere sul mercato le azioni di un'azienda finita in bancarotta, il cui valore è ormai prossimo allo zero. In poche parole il rapporto rischio rendimento è insensato.
Tornando al nostro scenario di guerra asiatica: se le situazione precipitasse e Seoul e Tokyo venissero incenerite, l'economia mondiale sarebbe destinata ad andare incontro a un tale sfacelo per i prossimi anni a venire, vista l'importanza delle due economie di riferimento, che alla fin fine le perdite subite dal proprio portafoglio azionario rappresenterebbero un dettaglio secondario.
Tanto vale tenersi i propri investimenti sperando che la ragione prevalga, il che aprirebbe interessanti opportunità a livello analitico per tentare di comprendere quale sia la tipologia di rischio dal massimo impatto sui mercati.