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Italia, il bicchiere mezzo pieno
In un precedente articolo avevamo parlato dell’Italia che, nonostante oggi abbia uno dei mercati azionari più dinamici d’Europa, ha sulle spalle una tale serie di problemi e si sta creando una tale quantità di criticità da non lasciare molti spazi di speranza. Un’incipiente ingovernabilità, un debito pubblico che nonostante tutto continua ad avanzare, un sistema bancario, importantissimo sui listini e ovviamente ancora di più per l’industria locale, che è tuttora in forti difficoltà, e dislivelli crescenti tra nord e sud del paese sono solamente alcuni degli elementi che rischiano di affondarci tutti.
Ma se si volesse vedere il bicchiere mezzo vuoto ci sarebbero fattori positivi sui quali contare? Gli investitori che hanno fatto crescere il listino in un anno da 15.423 punti a 21.031 sono tutti sprovveduti o hanno serie argomentazioni per puntare i loro soldi sul Belpaese? Vediamo allora i punti di forza di Piazza Affari e soprattutto dell’Italia.
Ripresa europea. Nonostante il nostro paese all’interno dell’Europa sia regolarmente il fanalino di coda, il ritorno sulla scena del Vecchio continente, che oggi sta attirando capitali da tutto il mondo e sta vedendo una notevole crescita degli utili aziendali, sta beneficiando anche noi. Secondo l’Istat, la crescita del Pil quest’anno dovrebbe arrivare all’1% e passare all’1,1% nel 2018. Se pensiamo che l’incremento medio europeo è previsto all’1,6%, dobbiamo rilevare come al solito che siamo i somari della classe, ma se consideriamo che soltanto fino a un paio di anni fa la sfida era superare quel fatidico 0% che almeno ci avrebbe tolto dalla categoria dei “meno”, in fondo è un discreto successo. Certo solamente se non ci si ferma qui.
Incidentalmente il miglioramento della crescita fa scendere di qualche frazione di punto il rapporto Pil/debito pubblico: non perché quest’ultimo sia diminuito (è avvenuto il contrario), ma perché a salire è stato il Pil. Comunque lo stato da molti anni presenta un avanzo primario, cioè le sue spese, al netto degli esborsi per interessi, sono inferiori alle entrate.
Struttura industriale salda. Al di là della retorica che spesso viene fatta sulla piccola e media impresa italiana, è indubbio che la parte industriale del paese, che è molto diffusa territorialmente, rappresenta un enorme punto di forza. Siamo, dietro la Germania, la seconda nazione manifatturiera d’Europa, la prima insieme alla Francia per valore aggiunto agricolo e abbiamo un attivo della bilancia commerciale di oltre 52 miliardi. Nel Nord Italia, inoltre, la disoccupazione è su livelli non superiori al resto dell’Europa.
Mario Draghi. Finché l’attuale presidente della Bce resterà al suo posto per l’Italia ci dovrebbe essere una garanzia di continuità. Il quantitative easing indubbiamente favorisce in maniera clamorosa il nostro paese, poiché gli acquisti massicci di titoli di stato da parte della Banca centrale tengono bassi i livelli di interessi da pagare e non vanno a incidere in maniera troppo pesante sul saldo primario positivo. Inoltre, in una prospettiva di peggioramento della situazione di ingovernabilità, gli ambienti finanziari danno per scontato che per Mario Draghi sia già pronto alla fine del suo mandato alla Bce il posto di presidente del consiglio di un eventuale governo di unità nazionale. Sarebbe probabilmente l’unico in grado di compiere un’impresa del genere. E questa soluzione in Europa piace a molti.
To big to fail. E poi c’è il vecchio slogan sull’Italia, che finora ci ha sempre protetti: troppo grande per fallire. Restiamo la terza economia dell’Eurozona (se si considera già fuori il Regno Unito) e una nostra caduta avrebbe conseguenze terrificanti non solamente sul Vecchio continente, ma anche a livello globale. Pensiamo a ciò che stava provocando un piccolo stato come la Grecia o le conseguenze che ha avuto il default dell’Argentina. I danni che farebbe un nostro fallimento sarebbero immensi. Di conseguenza in Europa sicuramente ci tratteranno come cani, subiremo pressioni fortissime, non è escluso che venga messa in discussione la nostra sovranità, ma nessuno ha interesse a farci crollare.
Conclusione. Sulla base di queste considerazioni, il sistema Italia sembra quasi saldo, anche se con qualche pesante malattia. Se si osservano, invece, le cose dal punto di vista del bicchiere mezzo vuoto, come avevamo fatto in un precedente articolo, si può pensare di essere sull’orla di un tracollo definitivo. Chi ha ragione? I pessimisti o gli ottimisti? Probabilmente tutti e due e nessuno dei due. L’economia è una cosa molto complessa in cui il colore nero o il colore bianco sono praticamente assenti. Anche la migliore azione politica presenta risvolti negativi o la politica più sciagurata qualche positività la genera. Del resto, se tutto fosse chiaro tutti saprebbero investire e a piazza Affari ci sarebbero solo venditori o solo compratori a seconda delle fasi di ottimismo e di pessimismo. E sappiamo che non è così. In pratica, esaminati tutti gli elementi, ognuno deve dare la propria risposta.