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Buone notizie dal Pil europeo
Nella giornata di mercoledì 16 agosto l'Eurostat ha pubblicato la seconda stima flash sul Pil del secondo trimestre del 2017 dell'Unione Europea e dell'Eurozona. Entrambe le valutazioni hanno visto un’accelerazione sia congiunturale, sia rispetto allo stesso periodo del 2016: per le due aree in rapporto al primo trimestre vi è stato un incremento dello 0,6%, che ha fatto seguito al +0,5% registrato nel periodo gennaio-marzo rispetto all'ultima frazione del 2016. Per quanto riguarda il confronto con l'anno passato si è registrato +2,3% per l'Ue a 28 e +2,2% per l'area euro. Nel primo trimestre dell'anno si era avuto rispettivamente +2,1% e +1,9%.
Il risultato è ottimo, almeno per i tempi strutturalmente grami che stiamo vivendo, per una serie di ragioni. Innanzitutto ormai l'Eurozona cresce quanto l'Ue a 28, qualcosa di decisamente favorevole per la tenuta della moneta unica. Inoltre è stato completamente annullato il differenziale con gli Usa (+2% e +2,1% rispettivamente nel 2017) e nel Vecchio continente si sta confermando un trend molto positivo di tipo endogeno.
La vexata quaestio per il futuro prossimo risiede nel tentare di capire se si tratta semplicemente della tipica sfasatura tra ciclo domestico europeo, dove la recessione è durata più a lungo e la ripresa è arrivata più tardi, o se invece siamo di fronte a una svolta alimentata da tutti e tre i pilastri dello sviluppo: consumi, investimenti e commercio estero.
Se poi analizziamo i dettagli del breakdown geografico del Pil, vediamo che ormai la Germania non è più un outlier positivo rispetto al resto dell'Ue: il suo prodotto interno cresce intorno al 2% che, con il profilo demografico che il paese si ritrova (al netto dei flussi di aspiranti rifugiati), è sì una cifra di tutto rispetto, ma non rappresenta più un caso isolato in Europa.
Inoltre diverse economie di dimensioni minori del Nord Europa, uscite piuttosto sbertucciate (relativamente parlando) dalla crisi finanziaria e dal post-crisi, quali Danimarca, Finlandia e Olanda, oggi aumentano con valori ben superiori al 2%.
Il core industriale tecnologico dell'ex blocco comunista, specificatamente Estonia, Rep. Ceca, Slovacchia e Ungheria mostrano incrementi superiori al 3% e in alcuni casi al 4%. La Polonia in particolar modo continua a essere la maggiore successs story del continente, nonché un candidato a trasformarsi in una Taiwan/Corea del sud dell'Est Europa.
Veniamo infine all'Italia, che rappresenta il classico caso di bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno. Con il suo +1,5% su base annua nel secondo trimestre, che ha fatto seguito all’1,% visto nei primi tre mesi del 2017, il Belpaese contemporaneamente continua a confermarsi una delle economie a minore crescita del mondo, ma anche un sistema in una fase di ripresa come non si vedeva dal 2006 e, prima di quell’anno, dalla fine degli anni ‘90. Se poi consideriamo il gap con la media continentale, scopriamo che oggi il Pil nazionale migliora a ritmi superiori ai due terzi dell'Eurozona e qualche economia importante comincia a essere raggiunta: la Francia, ad esempio, ha mostrato un +1% nei primi tre mesi dell'anno e +1,8% nel periodo aprile-giugno. Ciò vuol dire che a livello pro-capite oggi cresciamo più dei nostri cugini transalpini: solamente due anni fa cifre assolute e relative così ce le sognavamo.
Dall'altra parte è vero che accontentarsi di simili valori, dopo il crollo dell'ultimo decennio, non si può. Per parlare di svolta dovremmo mostrare cifre simili a Spagna e Portogallo, non certo una semplice minore intensità di declino relativo rispetto al resto d'Europa. Nello specifico un Pil sopra il +2% per l'Italia rappresenterebbe una svolta, anche psicologica, probabilmente decisiva: chiunque erediterà il governo del paese l'anno prossima dovrà lavorare per andare a raggranellare qualche decimale, e possibilmente un intero punto, di crescita in più: nel frattempo tiriamo un sospiro di sollievo per il fatto di esserci quanto meno mossi.