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Smal e mid cap, è qui la festa
In una fase di forti dubbi sui mercati, la soluzione di investire sulle small e mid cap (piccole e medie capitalizzazioni, dette in gergo smid) rappresenta una delle possibilità più interessanti. È vero che si tratta di aziende talora più fragili rispetto ai grandi gruppi che sono presenti negli indici generali più importanti, ma è anche altrettanto indubbio che sono società talora all’avanguardia e capaci, nonostante le piccole dimensioni, di muoversi spesso su tutto il globo.
Che poi quando si parla di capitalizzazioni limitate non si deve pensare certo alla piccola aziendina della Brianza con 50 addetti: in Europa la capitalizzazione media delle società presenti nell’Msci Europe è di 900 milioni di euro, mentre quella mediana supera 1,3 miliardi. Nel Russell 2000, l’indice che comprende le maggiori small cap Usa, il titolo più importante ha una capitalizzazione superiore a 5,8 miliardi di dollari, a fronte di una media intorno a 2 e a una mediana vicina a 800 milioni. Come si vede si tratta di imprese poi non così secondarie: Grand Vision, il maggiore retailer ottico del mondo, fa parte di questa categoria, così come Europcar, leader europeo nel noleggio auto con una quota di mercato superiore al 20%.
Ma è interessante vedere i risultati che queste società hanno ottenuto. Nel decennio che va dal 30 giugno 2007 alla fine dello stesso mese del 2017 (in pratica il periodo della crisi economica e finanziaria, con il suo lento recupero) il rendimento annuale in euro dell’Msci Europe small cap è stato del 5,91%, mentre l’Msci Europe generale ha evidenziato un calo dello 0,69% su base annua, il tutto con volatilità più o meno comparabili. In pratica, un risparmiatore del Vecchio continente che avesse deciso di investire tutti i suoi soldi sulle capitalizzazioni minori avrebbe avuto un decennio d’oro, a differenza di chi avesse puntato sulle blue chip. E risultati non molto diversi si sono visti nei paesi emergenti e in Giappone.
Sul mercato italiano i numeri per le cosiddette smid sono ancora migliori. Dalla fine del 2016 a circa metà agosto l’indice Ftse Star si trovava su del 30% circa, con un guadagno nettamente superiore rispetto al circa 11% dell’Ftse Mib, che rappresenta l’indice generale della borsa di Milano e che ha avuto un ottimo comportamento. Se analizziamo il periodo che va dalla fine del 2010 al 31 luglio 2017, si vede che le imprese medio-piccole hanno subito meno le fasi di bear market e hanno spesso vissuto strappi clamorosi al rialzo. Nell'ultimo quinquennio la performance cumulata di queste società è andata oltre il 236%, un livello molto maggiore rispetto all’Msci small cap e midcap Europe e nemmeno confrontabile con il +42% registrato dalle blue chip italiane.
Inoltre questi risultati sono stati ottenuti con gruppi che operano in quasi tutti i settori e che hanno spesso avuto molto da dire in ambiti tecnologicamente avanzati o comunque ad alti tassi di crescita come l’It, le biotecnologie e la cura della salute, i servizi finanziari, il lusso. Per quanto riguarda la robotica, che è considerata uno dei comparti più promettenti ed è concentrata soprattutto nelle parti più avanzate dell’Asia, le imprese di medie dimensioni hanno una netta prevalenza e stanno mettendo a segno profitti molto interessanti.
Ma a questo punto si pone un problema: un gruppo di società che finora ha dato per un decennio ottimi utili agli investitori sarà in grado di darli anche nel futuro? Non si rischia che queste aziende siano alla fine di un ciclo, specie in aree come gli Stati Uniti, dove qualche scricchiolio indubbiamente si avverte? Su questo punto varrà la pena tornare in un prossimo articolo, anticipando comunque che secondo i maggiori money manager la fase positiva è tutt’altro che terminata.