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Auto, un pilastro anche per i paesi ricchi
Torniamo ancora una volta ad occuparci del mercato auto mondiale per tentare di comprendere meglio il suo ruolo all'interno dello sviluppo economico degli ultimi anni. Innanzitutto va precisato un elemento quando si parla della produzione di auto per paese: al mondo ci sono circa una cinquantina di nazioni che producono veicoli.
In generale il livello di valore aggiunto generato in una realtà varia notevolmente: è più basso nelle fabbriche più semplici che sono quelle cosiddette knock-down (complete o semi) in cui essenzialmente viene fatto l'assemblaggio finale di parti importate e già in gran parte messe insieme all'estero.
Vi sono poi nazioni che non presentano grandi gruppi con propri marchi locali, che però producono importanti numeri grazie agli investimenti di costruttori esteri. Sovente in queste realtà si sviluppa anche una fiorente industria della componentistica, anch'essa con un mix di capitale locale e straniero. Alcuni poli produttivi nazionali hanno una marcata vocazione all'export (ad esempio Messico, Repubblica Ceca, Slovacchia, Turchia e Thailandia), mentre altri funzionano come mercati captive per colossi stranieri, quali ad esempio il Brasile.
La Cina in questo scenario è uno strano ibrido, dove la produzione nazionale serve in grandissima parte la forte domanda domestica. Quest'ultima per circa la metà è soddisfatta da aziende straniere che producono in joint venture con gruppi locali. Questi ultimi a loro volta fanno da concorrenti con marchi propri la cui quota di mercato è aumentata molto nell'ultimo quinquennio.
In cima alla catena troviamo le nazioni proprietarie dei marchi globali, che spesso vantano ancora importanti asset industriali nei paesi di origine, anche se nel contempo hanno espanso la produzione in molti altri nuovi mercati da servire. Come si può immaginare, si tratta di un gruppo decisamente ristretto di paesi, essenzialmente composto da Usa, Giappone, Germania, Francia e l'ultima arrivata Corea del sud. Ci sarebbe da discutere sul fatto che l'Italia ne faccia ancora parte o meno.
Proprio su questo insieme ci concentriamo questa volta, perché permette di trarre indizi interessanti. Cominciamo dagli Usa: la produzione domestica è, al di là dei cicli di boom and bust legati all'economia in generale, sostanzialmente stagnante da 20 anni. Infatti il record di output delle fabbriche statunitensi è stato raggiunto nel 1999 con oltre 13 milioni di pezzi nel 1999. Contemporaneamente è rimasta sostanzialmente ferma anche la produzione del Canada, da sempre concentrata nell'est del paese e in simbiosi con il complesso di Detroit. Da allora in America sono cambiati molti siti produttivi (dal nord al sud del paese), ma i crescenti acquisti domestici sono stati progressivamente sempre più soddisfatti da import asiatici e, soprattutto, dal Messico.
Quest'ultimo paese ha visto una crescita strepitosa delle macchine sfornate: da circa 800 mila nel 1990 a più di 1,9 milioni nel 2000 a quasi 3,6 l'anno scorso, andando a occupare la settima posizione mondiale dietro la Corea. Quest'anno potrebbe peraltro avvenire un'inversione nel ranking fra i due paesi.
La Corea del sud è l'ultimo grande player arrivato sul pianeta con un colosso domestico (Hyundai-Kia) attualmente al quinto posto al mondo per vendite. È interessante notare che il picco produttivo locale è stato raggiunto nel 2011, in contemporanea con l'ascesa della diversificazione produttiva dell'automotive locale a livello globale. Il 2011 ha coinciso anche con l'avvio di una fase di maggiore lentezza della crescita per il paese, che forse potrebbe essere il preludio di una parabola simile a quella del proprio grande rivale, il Giappone. Quest'ultimo, come abbiamo visto, addirittura una generazione fa occupava la prima posizione mondiale: ai tempi dello scoppio della ruggente bubble economy nipponica nel 1990 si registrò infatti il massimo assoluto di pezzi sfornati, sfiorando quota 13,5 milioni a fronte dei circa 9,2 del 2016.
Da quanto visto finora si può già trarre una conclusione importantissima: anche nelle economie più mature la produzione auto è ampiamente correlata con l'andamento generale e sembra difficile riuscire a prescindere dall'automotive, che rimane un driver fondamentale non solo per l'occupazione industriale, ma anche per quanto riguarda l'innovazione e la crescita di nuove tecnologie.
A questo punto resta da vedere solo quanto questo settore impatta sull’economia europea.