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Auto, al centro degli squilibri europei
Ancora di più che in altre parti del pianeta l’auto ha un'importanza fondamentale nel Vecchio continente, dove vengono prodotti circa i due terzi delle vetture classificate come di lusso al mondo. Intere industrie avanzate europee hanno in questo settore il loro principale sbocco produttivo: basti pensare, per fare solo un esempio, ai maggiori gruppi continentali nei microchip.
Proprio dall'analisi della situazione da parte dell'Ue troviamo un microcosmo della deriva nel grado di competitività delle diverse economie dell'Unione. Partiamo da Francia e Italia: curiosamente entrambe hanno visto il picco massimo della propria produzione nello stesso anno, ossia il 1989. I nostri cugini transalpini sfornarono quasi 4 milioni di pezzi a fronte di 2,2 prodotti in Italia. Come si può vedere, comunque, anche al massimo del rispettivo splendore, la Francia presentava un grado di internazionalizzazione del proprio comparto auto e un livello di quota di mercato superiore, e non di poco, rispetto alla concorrenza italiana.
Da lì in poi il declino è stato percentualmente piuttosto simile per le due nazioni: nel 2016 l'output del Belpaese si era ridotto a circa 1,1 milioni di unità, mentre quello francese era calato sotto quota 2,1 milioni. In entrambi i casi il 2013 ha costituito un minimo che non si vedeva da decenni (specificatamente dagli anni ‘60), con l'Italia scesa sotto le 700 mila unità.
Contemporaneamente due evidenti fenomeni si sono sviluppati a partire dagli anni ‘90: l'ascesa della Spagna e il progressivo dominio della Germania e dei propri satelliti. Nel primo caso la crescita produttiva è stata guidata dal capitale straniero, che ha reso gli iberici il secondo produttore d'Europa con quasi 2,9 milioni di unità. Il record storico per questo paese è stato nel 2000, poco sopra 3 milioni, dopo due decenni di forte crescita industriale. La ripresa attuale marca un ritorno vicino ai picchi per una nazione che nel corso di un decennio ha visto perdere competitività industriale recuperata poi in maniera importante a partire dal 2011, annata in cui ci si fermò sotto la soglia di 2 milioni di auto prodotte.
Arriviamo infine alla Germania, che presenta un andamento incomparabile con il resto dei paesi avanzati, a parte realtà neo-sviluppate come quelle asiatiche. L'output automobilistico germanico era più di 4,9 milioni nel 1990, circa 5,5 milioni nel 2000, sopra quota 5,9 nel 2010 e oltre 6 milioni l'anno scorso. Il picco produttivo della Repubblica Federale è stato poco sopra 6,2 milioni nel 2007. Come si può vedere, una tenuta che non ha pari in nessun’altra economia ad alto reddito occidentale, se non forse gli Usa, con però livelli ben diversi di valore aggiunto.
Inoltre è interessante notare che il dominio continentale della Germania ha creato un cluster produttivo che si è esteso alla vicina Austria e ai paesi del suo ex impero, specificatamente Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Slovenia. Insieme queste sei nazioni sfornano circa il 10% del prodotto mondiale. Slovacchia e Repubblica Ceca, inoltre, presentano la maggiore produzione pro capite al mondo, rispettivamente un’auto all'anno ogni 5,22 di abitanti e 7,82. Nella Top 10 troviamo anche la Germania stessa (quarta dietro la Corea con 13,63), la Slovenia (settima dietro il Canada con 15,44) e l'Ungheria (nona dietro la Spagna con 20,8). In questo contesto vale la pena osservare che Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia siano gli ultimi tre paesi al mondo a essere stati promossi al rango dell'alto reddito da parte del Fondo Monetario Internazionale.
In conclusione: al di là delle vicende borsistiche del settore, l'industria automobilistica costituisce ancora un pilastro fondamentale per le sorti economiche, e quindi di fondo dei mercati finanziari, di qualsiasi economia di dimensioni demografiche minimamente rilevanti (forse eccezioni parziali riusciamo a trovarle nella Polonia e nel Regno Unito).
Non è chiaro che cosa succederà in futuro con i veicoli self-driving, per il momento però nessun paese fra i principali sembra essere in grado di potere andare bene senza un florido comparto automobilistico, che a sua volta diviene una sorta di vero e proprio termometro dell’economia.