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High yield Usa, ottimi ritorni, ma tanta volatilità
Se andiamo a vedere il gigantesco complesso del debito aziendale statunitense, scopriamo diverse cose interessanti: ad esempio nel settore dei bond high yield il rendimento medio è intorno al 6%, mentre la duration si attesta a 3,9 anni: il rapporto rendimento/duration è dunque pari a 1,5.
Nel campo invece delle obbligazioni investment grade il rendimento medio è al 3,2%. Si tratta di un valore nominalmente superiore a quello degli high yield europei (intorno al 3%), cui però vanno dedotti i rispettivi tassi di inflazione, i costi della copertura del rischio valutario o, in alternativa, la volatilità del cambio euro/dollaro.
La duration del segmento Ig made in Usa è invece 7,1 anni e di conseguenza il rapporto rendimento/duration è assolutamente sfavorevole ai bond di maggiore qualità. Questi ultimi sempre più spesso sono caratterizzati da buone cedole, ma da quotazioni molto al di sopra del par value, il che contribuisce a creare un ambiente fatto di elevata sensibilità all'andamento dei tassi di interesse. Un esempio concreto di questo scenario si è avuto nelle settimane immediatamente successive all’elezione di Donald Trump, in cui le obbligazioni aziendali statunitensi Ig hanno offerto performance pessime con una volatilità da brivido.
La questione default sembra invece non essere più un elemento rilevante, almeno alle attuali quotazioni del petrolio, per gli high yield, o quanto meno non sembra che il differenziale di rischio creditizio sia tale da giustificare uno scarto di rendimento e duration così elevato: almeno a quanto sostengono le maggiori agenzie di rating, il totale dei mancati pagamenti a fine anno potrebbe scendere al 3%, con un 2017 che dovrebbe vedere default quasi esclusivamente fra le emissioni del comparto energetico di tipo CCC.
Ciò che gli high yield guadagnano sul piano della minore correlazione alle incertezze della politica monetaria lo perdono in termini di una volatilità comunque elevata, a causa di una forte correlazione con l'andamento della propensione al rischio. È interessante notare quanto è successo nel periodo post-crisi finanziaria, intendendo con esso gli anni intercorsi fra il novembre 2009 e il giugno del 2017. Per i titoli del Tesoro americani a breve scadenza (uno-tre anni) la perdita peggiore è stata -0,8%, per quelli a cinque anni è risultata -4,23%, mentre per il decennale si è arrivati a -10,23%. Gli high yield Usa hanno registrato -9,83%, una cifra di poco inferiore al -10,25% delle obbligazioni dei mercati emergenti.
Come si può vedere, nel debito pubblico vi è stata una bolla tale della duration, cui hanno fatto seguito spesso movimenti rapidi di panico da fine bolla della magnitudine di diverse standard deviation, da rendere gli emergenti e gli high yield asset class favorevolmente comparabili in termini di volatilità. Le oscillazioni della ripidità della curva dei Treasury statunitensi hanno visto dunque movimenti a dir poco pazzeschi e negativamente correlati rispetto all'andamento delle azioni e degli asset rischiosi in genere. Lo stesso non si può dire per le altre due asset class, che hanno visto nel taper tantrum del 2013 per gli emergenti e nel collasso del greggio del 2015-2016 per gli high yield made in Usa i momenti più drammatici della storia recente.
In pratica, se si vuole diversificare il proprio portafoglio con investimenti di tipo safe haven negativamente correlati al rischio e al contempo almeno non si vuole perdere soldi in termini di rendimento reale, bisogna accettare una nuova fonte di volatilità del portafoglio enorme, almeno in un contesto così lassista di politiche monetarie.