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Italiani e investimenti, poche idee e confuse
Nel corso del 2016, in linea con gli andamenti rilevati nell’area euro, è proseguita la crescita del reddito disponibile delle famiglie italiane, la cui ricchezza netta è rimasta invece sostanzialmente stabile attorno ai livelli pre-crisi. E’ questo solo uno dei dati che emerge dal rapporto Consob sulle “Scelte di investimento delle famiglie italiane per il 2017”, stilato da Mauro Maria Marino, Nadia Linciano, Annamaria Lusardi, Massimo Caratelli, Magda Bianco e Salvatore Gnoni.
La ricerca evidenzia che il tasso di risparmio domestico è lievemente aumentato, anche se continua ad attestarsi a un livello inferiore ai valori di lungo periodo e alla media dell’Eurozona. Gli indicatori di indebitamento delle famiglie italiane (circa il 22%) pur superiori al dato registrato prima del 2007 (il 18%) rimangono significativamente più contenuti di quelli europei (31%).
Le rilevazioni per il 2016 confermano, tuttavia, che le competenze degli italiani in materia di investimenti finanziari rimangono limitate, sia per i profili attinenti alle conoscenze sia per gli aspetti relativi ad attitudini e modelli decisionali. Per quanto riguarda le conoscenze, nozioni di base quali inflazione, tasso di interesse semplice, relazione rischio-rendimento e diversificazione di portafoglio rimangono oscure per la maggior parte degli intervistati (la percentuale di definizioni corrette oscilla infatti tra il 33% e il 53%), mentre registrano livelli di comprensione significativamente inferiori (tra il 10% e il 18%) concetti più sofisticati riguardanti alcune dimensioni descrittive del rischio di un prodotto finanziario, ricorrenti nell’informativa destinata ai risparmiatori.
Non sorprende che il 20% dei decisori finanziari affermi di non avere familiarità con alcun prodotto (il dato si attesta al 15% per il sottocampione degli investitori) e che il restante 80% dichiari più frequentemente di conoscere depositi bancari, titoli di stato e obbligazioni bancarie, in linea con abitudini di investimento storicamente orientate dall’importante offerta di titoli del debito pubblico e dalle modalità di funding delle banche italiane. Parimenti, sottolinea lo studio, non stupisce che oltre un terzo degli intervistati abbia difficoltà a valutare la rischiosità delle opzioni di investimento più note.
Tale circostanza suggerisce cautela nell’interpretazione delle rilevazioni sulla propensione al rischio degli individui basate, ad esempio, sulle preferenze dichiarate in materia di allocazioni alternative di portafoglio. Le evidenze del rapporto mostrano, infatti, che il 59% degli intervistati che affermano di preferire una composizione di portafoglio a prevalenza azionaria ritiene che le azioni siano meno rischiose delle obbligazioni. La rilevazione dell’attitudine al rischio può divenire ancora più complessa se le preferenze degli individui variano a seconda delle modalità di presentazione dell’informazione (cosiddetto framing effect). Nel campione considerato, questa attitudine connota poco più del 30% degli intervistati. In un terzo dei casi, inoltre, le preferenze mostrano una certa instabilità anche rispetto all’orizzonte temporale considerato, suggerendo una tendenza alla procrastinazione che può avere un impatto significativo sulla qualità delle scelte economico-finanziarie.
Le abitudini e le competenze in materia di risparmio e investimenti sono dovute prevalentemente all’interesse personale (circa un terzo degli intervistati), seguito dalla gestione del budget familiare (15%) e dall’esperienza in tema di finanza e investimenti (11%). L’interesse ad apprendere e approfondire le materie finanziarie viene espresso da quasi la metà dei partecipanti alla rilevazione, registrando valori più elevati quando si identifica in maniera esplicita l’utilità che una maggiore conoscenza può avere rispetto al perseguimento di uno specifico obiettivo (ad esempio, scegliere un consulente finanziario o gestire le finanze personali).