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Mercati in caduta, la visione positiva
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Nessuno oggi può dare una risposta certa: la caduta di Wall Street e delle altre borse mondiali, in parte già recuperata, è l’inizio di un nuovo trend al ribasso e la fine di una (quasi) bolla che ha caratterizzato uno dei cicli borsistici ed economici più lunghi della storia o è solo un piccolo inciampo, persino salutare, di un andamento che rimane positivo? Per capire come bisogna comportarsi di fronte a questo nuovo scenario di mercato è necessario analizzare con attenzione gli elementi positivi e quelli negativi. In questo primo articolo vedremo i punti a favore dei mercati e che dovrebbero comunque costituire una rete di protezione in una fase indubbiamente difficile. In un’altra analisi verranno esaminati i fattori negativi.
Ripresa globale. La crescita economica dell’intero pianeta è sicuramente uno dei punti chiave a favore dei mercati. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, nel 2017 il Pil dell’intero pianeta è aumentato del 3,6%, mentre per il 2018 le previsioni parlano di +3,7%; nel 2016 l’incremento era stato del 3,2%.
In pratica il mondo sta crescendo con una certa vivacità e, fatto ancora più importante, il trend è positivo praticamente in tutto il mondo. Stati Uniti, Europa ed economie emergenti appaiono economicamente in buona salute e alcuni mercati finanziari, come il Giappone, che resta la terza economia mondiale, sembrano nettamente sottovalutati rispetto ai risultati economici. Un altro elemento a favore di questa tesi è che le materie prime in questi giorni hanno nel loro complesso retto abbastanza bene e hanno avuto una volatilità nettamente inferiore rispetto ai mercati azionari e obbligazionari. Ciò dovrebbe significare che le industrie sparse per il mondo continuano a produrre, a guadagnare e a consumare, appunto, commodity.
Paesi emergenti. A differenza di altri momenti di crisi, in cui l’economia degli emerging market appariva fragile e sostanzialmente agganciata al ciclo dei maggiori paesi sviluppati, questa volta buona parte della crescita globale deriva dai paesi in via di sviluppo. Cina, India, il Sud-est asiatico appaiono realtà sempre più autonome che fondano la loro crescita sui consumi interni e su livelli tecnologici ampiamente competitivi con quelli americani. Non è un caso che, almeno fino a questo momento, lo Shanghai composite e l’Hang Seng di Hong Kong siano ancora positivi dall’inizio dell’anno.
Inoltre molte nazioni hanno avviato forti e importanti riforme e, a differenza di quanto succedeva in passato, hanno livelli di governance più in linea rispetto agli standard internazionali.
Non è tutto bolla. Se andiamo a vedere i P/E delle maggiori borse mondiali, in alcuni casi troviamo sicuramente valori alti, nettamente più elevati della media degli anni passati, ma quasi mai delle bolle. Il P/E trailing del Dow Jones, per esempio, che contempla i 30 maggiori colossi industriali Usa, quindi le azioni più sicure e più sopravvalutate, è attualmente intorno a 25, mente L’S&P 500, che raccoglie 500 titoli e quindi è maggiormente rappresentativo dell’intero mercato, è a quota 21. È probabile che con questi livelli sul mercato americano una correzione ci stia, ma le basi per un crollo non ci sono.
Ancora meglio l’Europa, con lo Stoxx 600 che è un po’ sotto quota 20 e con previsioni di utili in rialzo, mentre lo Shanghai composite è intorno a 18. In questo quadro il P/E a 12 mesi dell’Italia che è un po’ sopra 12 appare decisamente ancora interessante.
Oro. Solitamente nei momenti di panico la quotazione dell’oro prende immediatamente a salire, segnale che una parte dei capitali collocati in asset rischiosi viene spostata sul più classico dei beni rifugio. Dall’inizio di gennaio a oggi, però, il metallo giallo è passato da 1.323 dollari per oncia a 1.332: un rialzo minimo nell’ambito di un trend abbastanza tranquillo. In pratica su questo fronte calma piatta. Almeno finora.
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