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Pharma, un futuro non privo di incertezze
Erano state analizzate alcune caratteristiche del comparto farmaceutico statunitense, uno dei più deludenti a livello borsistico nell'ultimo spettacolare triennio della borsa made in Usa, nonostante fondamentali che farebbero pensare a una vera e propria età dell'oro. In parte la ragione va ricercata nella situazione di quasi-bolla di tre anni fa, che però difficilmente giustifica oggi un P/E forward a livello settoriale di poco superiore a 15.
Vista la crescita a livello scientifico, che promette di rivoluzionare la medicina e la cura della salute in generale nei prossimi decenni, i multipli correnti appaiono quasi ridicoli rispetto al potenziale offerto. Infatti una logica da growth at reasonable value sicuramente in questo caso si può applicare, tanto che un'esposizione a questo tipo di aziende non dovrebbe mancare in alcun portafoglio azionario.
Detto ciò, i rischi ci sono e non sono pochi, soprattutto, in senso lato, a livello politico. Con ciò non si intende fare riferimento alla possibilità di misure punitive nell'immediato nei confronti di un’industria farmaceutica sicuramente spregiudicata (a essere benevoli): in fondo in Usa regna un'amministrazione solidamente pro-business che di atteggiamento punitivo non vuole sentire parlare, nonostante qualche sparata ogni tanto del presidente Trump. Il problema in realtà potrebbe essere più profondo e paradossalmente potrebbe derivare proprio da quello che viene considerato uno dei vantaggi secolari per l'healthcare, ossia l'invecchiamento della popolazione.
Questo processo rischia infatti di rendere insostenibili le spese per i governi di tutto il mondo, che potrebbero mettere sotto pressione i margini delle industrie farmaceutiche. Già adesso il regime legislativo adottato nei paesi sviluppati non è poi così incredibilmente favorevole a queste società. Infatti generalmente la protezione garantita dai brevetti dura una decina di anni, non pochissimo certo, ma neppure un tempo infinito, specialmente se si considerano gli anni e gli investimenti che servono a mettere sul mercato un nuovo farmaco.
Il rischio dunque è che il settore pubblico, che diciamolo pure non avrebbe contro l’opinione pubblica dei diversi paesi, trovi alla fine una maniera strutturale per abbassare i margini di profitto delle imprese. Va tenuto presente che in diverse nazioni asiatiche, finora player molto modesti in questo ambito, stanno puntando moltissimo su questo settore, dove sperano di replicare il successo ottenuto nell'It.
Dunque se è vero che la popolazione sta invecchiando, è altrettanto indubbio che la produttività scientifica è spettacolare e molto promettente. Ma è altresì fuori discussione che i trend demografici pongono anche sfide e problemi non necessariamente favorevoli a Big Pharma e che gli Usa, per quanto largamente il leader di questo segmento del sistema economico, non hanno il monopolio della ricerca. Anzi la Cina è avvantaggiata, oltre che dal proprio impressionante pool di talenti, anche da un sistema a livello regolatorio decisamente meno stringente di quello occidentale.
Pertanto sicuramente opportunità ci sono in ambito farmaceutico, però tutta questa disruption in corso non è detto che porti, facendo una stima a spanne, nel 2030 a un ambiente in cui i colossi di oggi saranno quelli ancora dominanti sul mercato: raramente infatti trasformazioni tecnologiche di questa portata lasciano intatti gli equilibri. Se poi aggiungiamo la possibilità per i servizi sanitari di tagliare qualche spesa senza scontentare i cittadini, allora si può capire anche il perché di multipli così scontati.
Sicuramente i livelli attuali sono troppo contenuti, però non ci sarebbe da stupirsi se comunque nei prossimi anni permanessero quotazioni difficilmente compatibili con un paradigma growth puro.