- SEI UN CONSULENTE FINANZIARIO AUTONOMO?
- Scopri i vantaggi del nostro servizio
Cinque miti da sfatare per i bond
La fine dell’inflazione, il peso della politica sui mercati, la presunta bolla del credito, la disomogeneità dei mercati emergenti, la necessità di generare plusvalenze per produrre reddito
Nick Gartside, gestore del JPMorgan Funds – global bond opportunities fund, esamina i cinque miti sul mercato obbligazionario che potrebbero crollare in un 2018 pronto a sfidare i preconcetti
1. L’inflazione è morta
Gli investitori obbligazionari si sono sentiti molto a loro agio in un contesto caratterizzato da un’inflazione contenuta ma potrebbero avere sorprese nel 2018. Gli indicatori dell’inflazione a breve termine hanno cominciato a risalire, in particolare negli Stati Uniti e gli investimenti aziendali hanno visto un’impennata nel 2017; maggiori investimenti sono tipicamente associati a una maggiore produttività, che storicamente ha alimentato la crescita dei salari.
Le aspettative sulla politica monetaria non si sono adeguate a questo contesto in evoluzione. In Europa i tassi d’interesse sono ancora a livelli di crisi e il mercato non sconta un primo rialzo fino alla fine del 2019. Ma a nostro avviso l’Europa non è in crisi; al contrario, rappresenta un grande successo economico. Considerando che i rendimenti di quasi un terzo del mercato obbligazionario europeo sono ancora in territorio negativo,1 si potrebbe assistere a un forte riprezzamento.
2. La politica quest’anno comprometterà i mercati
Mentre gli investitori sembrano preoccupati dall’inflazione, è possibile però che si preoccupino troppo del rischio politico. Ci sono 84 elezioni in programma quest’anno in tutto il mondo – all’incirca una ogni quattro giorni – ma rispetto alle votazioni degli ultimi anni che hanno catalizzato l’attenzione dei media, queste sembrano essere molto meno destabilizzanti e niente di ciò che è possibile prevedere potrebbe avere un impatto significativo sulle dinamiche di crescita/inflazione.
In Europa, le indagini sulle percezioni indicano un maggiore sostegno all’Euro in tutta la regione. Il cambiamento è particolarmente evidente in Italia, dove quasi il 60% adesso sostiene la moneta unica, il che suggerirebbe che le recenti elezioni non comporteranno grandi stravolgimenti. Altrove, le elezioni generali in Russia e Messico, nonché le probabili elezioni anticipate in Turchia, non dovrebbero avere ripercussioni sui mercati finanziari globali.
3. Il credito è una bolla
L’opinione di consenso è che per le obbligazioni societarie la festa sia finita e i rendimenti siano destinati a vacillare. Ma gli indicatori operativi per le aziende sembrano solidi: la leva finanziaria è in calo, la copertura degli interessi in rialzo nelle obbligazioni europee ad alto rendimento e si sta verificando una solida crescita della redditività e dei ricavi sia negli Stati Uniti che in Europa. I rischi? In primo luogo, che l’economia cada in recessione – evento che non riteniamo imminente. In secondo luogo, che le aziende inizino a effettuare un’errata allocazione del capitale. Consideriamo l’utilizzo dei proventi obbligazionari come un indicatore previsionale: attualmente due terzi dei proventi da nuove emissioni vengono utilizzati per il rifinanziamento – uso conservativo del capitale – ma stiamo monitorando la situazione per individuare i segnali che possano indicare che le aziende stanno incrementando l’indebitamento dei propri bilanci. Un altro segnale di avvertimento sarebbe la ripresa delle attività di fusione e acquisizione. Se abbiamo ragione che i rischi al momento sono remoti, potremmo assistere a un restringimento degli spread. Gli spread delle obbligazioni Investment Grade globali potrebbero restringersi da 94 punti base (pb) a 80 pb. Non ci aspettiamo di tornare ai massimi storici degli spread ad alto rendimento statunitensi di 225 pb, ma gli attuali spread di 363 pb potrebbero contrarsi fino a 300 pb.
4. Tutti i Mercati Emergenti sono uguali
Mentre i principali Mercati Sviluppati si differenziano chiaramente nelle menti degli investitori, i Mercati Emergenti spesso vengono ancora trattati come un gruppo omogeneo. Ma la dispersione tra i Mercati Emergenti non è mai stata più grande – come evidenziato dai rendimenti e dai tassi d’interesse. I tassi d’interesse dell’indice sul debito dei Mercati Emergenti in valuta locale ammontaal 6%, ma l’Argentina sta registrando oltre il 16%, mentre l’Ungheria appena l’1,2% La differenziazione rappresenterà il fattore chiave per sfruttare le opportunità ed evitare i rischi. Attualmente favoriamo i Paesi con rendimenti reali elevati e un ulteriore margine di compressione, come l’Indonesia e la Russia. Siamo meno favorevoli nei confronti dei Paesi in cui la Banca Centrale si trova “dietro la curva” e dove vediamo un rischio di contagio dell’aumento dei tassi nei Mercati Sviluppati, come la Repubblica Ceca.
5. È tutta questione di reddito
Il reddito fisso riguarda il reddito, giusto? Lo dice il nome stesso. Se questo era vero in passato e gli investitori potevano ottenere un reddito costante del 5-6% dai propri investimenti obbligazionari, oggi la situazione è molto diversa. Il mercato di quest’anno probabilmente sarà quello in cui gli investitori obbligazionari dovranno generare plusvalenze, ed evitare perdite di capitale, per produrre reddito. Il contesto di fine ciclo sarà più idiosincratico e prevediamo che gli investitori dovranno essere più selettivi se vorranno guadagnare.