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Nasdaq 100, non sempre un grande affare
In un precedente articolo abbiamo visto che un investitore che 30 anni fa avesse puntato sull’indice S&P 500 e sul tedesco Dax avrebbe portato a casa plusvalenze eccezionali: con un investimento di 4.000 dollari all’anno, reinvestendo nello stesso S&P 500 i capital gain, alla fine del trentennio si sarebbe trovato in cassa la sbalorditiva cifra di 45,39 milioni di dollari. E ancora meglio sarebbe andata con il Dax.
Ovviamente fare questi calcoli sul passato è molto difficile e per certi versi fuorviante, anche se per la verità un investitore che avesse puntato su quei due indici nella realtà si sarebbe limitato a scegliere il più importante e rappresentativo indice americano e il più solido benchmark azionario europeo. Quindi non ci voleva in fondo una grande scienza per compiere un investimento di questo tipo.
Più complicato si fa il discorso se si entra in aree più selettive e più specializzate. Facciamo un esempio concreto: la tecnologia, che oggi è considerata uno dei pilastri di quasi tutti i mercati equity del mondo, a cominciare dagli Stati Uniti e dall’Asia. Facciamo l’ipotesi che un risparmiatore avesse intuito il 1° aprile del 1988 le grandi potenzialità di questo settore. Allora il Nasdaq 100, l’indice americano che raccoglie le 100 maggiori capitalizzazioni nel settore hi tech, quotava 175,92, mentre oggi è a 6.615 punti, con una crescita del 3.660%, pari a una media annua del 122%.L’investimento di 30 mila dollari avrebbe portato a ottenere in teoria una cifra assurda, vale a dire 44.728 miliardi di dollari, circa due volte e mezzo il Pil degli Stati Uniti.
Chiaramente una cosa di questo genere non è possibile che si verifichi, anche perché l’intera capitalizzazione del Nasdaq 100 è largamente inferiore e a un certo punto non ci sarebbero stati più titoli da comprare e il mercato sarebbe finito. È una storia che ricorda quel vecchio saggio che aveva fatto un favore all’imperatore e che aveva chiesto come premio un chicco di riso sulla prima casella di una scacchiera, che però raddoppiasse in ogni casella successiva: alla fine della scacchiera non bastava l’intera produzione mondiale di riso. Ma si tratta certamente di una proiezione interessante che fa capire quali potenzialità di guadagno può comportare un piccolo investimento in borsa se si sceglie al momento giusto il settore giusto,
Ma è indubbio che nel 1988 di risparmiatori in grado di capire che potevano essere messi 1.000 dollari all’anno sulla tecnologia ce n’erano ben pochi, per cui una scelta del genere non era molto diversa che puntare su una lotteria. Più facile era scegliere di entrare in questo settore il 1° gennaio del 2.000, quando l’hi tech era in pieno boom e tutti parlavano delle eccezionali prospettive che questo comparto poteva avere.
Allora si formò una delle peggiori bolle della storia borsistica, con P/E che superavano quota 1.000, e all’inizio del millennio si entrava a 3.570. Il massimo si toccò pochi mesi dopo, esattamente ai primi di marzo, a quota 4.397: da quel momento le quotazioni cominciarono a precipitare e scoppiò la bolla delle dot.com: il minimo fu raggiunto nel settembre del 2002 a quota 832. Da quel momento per sette-otto anni il Nasdaq 100 ha avuto un andamento laterale tra 1.200 e 1.500 e molti investitori che avevano comprato quasi 10 anni prima a un valore triplo si stufarono e uscirono.
Ma nel marzo del 2009 iniziò una costante salita che in nove anni ha portato il benchmark tecnologico da 1.200 circa agli attuali 6.615 punti, che sono abbastanza vicini al record storico. In pratica chi fosse entrato 18 anni fa avrebbe messo a segno una performance dell’85%, con una crescita media annua del 4,73%: la storia di maggiore successo degli ultimi 30 anni, se messa in portafoglio 18 anni fa, avrebbe fornito una performance tutt’altro che entusiasmante.
Tutto ciò per dire che stabilire il momento dell’entrata in un investimento azionario è una delle cose più difficili e che anche puntare per quasi 20 anni su uno dei settori di maggiore successo non è detto che fornisca ritorni eccezionali. In questo caso, in rapporto al rischio corso, il guadagno è modesto.