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Mercati emergenti: tonici, ma c’è volatilità nel breve
Il futuro del dollaro è incerto, con possibili impatti sulle economie emergenti se la Fed dovesse ridurre i tassi. Le politiche fiscali e monetarie negli Stati Uniti, inclusi i potenziali nuovi dazi e i cambiamenti nel mercato del lavoro, potrebbero aggravare la volatilità nei mercati finanziari.
Gli investitori sono costantemente ‘‘affascinati’’ dai mercati emergenti, che alla fine del terzo trimestre di quest’anno evidenziano un generale contesto di crescita positiva, anche se – avvertono gli analisti - è destinato a essere contrappuntato da un’elevata volatilità nel breve termine. Finora queste piazze finanziarie hanno mostrato performance solide, con la complicità di un debito sovrano e societario (espresso in valuta forte) che nel frattempo ha registrato buoni ritorni. Tuttavia, rileva tra gli altri Anisha A. Goodly, managing director, emerging markets - portfolio specialist di TCW, la situazione rimane caratterizzata da incertezze geopolitiche, oltre che dalla volatilità derivante dalle politiche monetarie delle Banche centrali.
Performance superiori ai Paesi sviluppati
Le principali dinamiche in gioco comprendono, in particolare, gli effetti dell'allentamento delle politiche monetarie in molti di questi Paesi emergenti, come la Cina e il Brasile, che hanno adottato stimoli economici per sostenere la crescita. Crescita che, secondo l’esperta, si prevede continuerà a superare quella dei mercati sviluppati, grazie a fondamentali economici robusti e all’effetto traino esercitato da alcune aree ‘‘locomotiva’’ come l'India e il Brasile. A tarpare i potenziali rendimenti, comunque, potrebbero intervenire l’incertezza legata alle politiche monetarie globali, gli sviluppi e l’impatto – ancora poco chiaro – che avrà la politica della nuova Amministrazione statunitense, all’indomani del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca.
Dubbi sul corso del dollaro
Anche i dubbi sull’indirizzo di lungo periodo che prenderà il dollaro contribuiscono ad alimentare la volatilità dei mercati emergenti. Il biglietto verde, infatti, al momento non offre molte certezze: è andato subito in accelerazione dopo la vittoria di Trump, ma gli analisti ritengono che possa subire uno storno se la Fed dovesse procedere a tagliare i tassi per sostenere l’economia Usa, con potenziali ricadute sul costo del debito pubblico e un tasso d’inflazione importate che al momento è complicato quantificare. In sostanza, secondo Goodly, sulle piazze emergenti permangono rischi significativi che richiedono un'attenzione attiva e una gestione dinamica del portafoglio. Ecco perché è importante navigare con cautela, soprattutto nel breve periodo.
Finora i fondamentali hanno premiato
Al momento, comunque, non si può trascurare il fatto che i solidi fondamentali dei mercati emergenti hanno dato i loro frutti. Nel terzo trimestre, il debito sovrano e quello private (in valuta) di questi Paesi hanno avuto un rendimento rispettivamente del 6,15% e del 4,48%. Non solo. I titoli pubblici high yield hanno portato a casa una performance del 6,68%, superando quindi sia i rendimenti dell'high yield statunitensi sia quelli dei titoli investment grade dei mercati emergenti. Di riflesso, gli spread sull'indice sovrano dei mercati emergenti si sono ristretti di 30 punti base, principalmente grazie alla performance dell'high yield, chiudendo il trimestre a circa 360 punti base. Nel frattempo, anche la politica creditizia di questi Paesi è diventata più accomodante.
Il trend dei tassi è favorevole
C’è da rilevare qualche ritardo in Asia dove, nonostante l'inflazione sia scesa, le Banche centrali hanno rallentato i loro piani di riduzione dei tassi per evitare di compromettere la stabilità dei tassi di cambio. Solo la Banca centrale delle Filippine ha agito prima, riducendo il costo del denaro in anticipo rispetto alla Fed. Un caso particolare è invece quello del Brasile, dove l’Istituto di emissione a settembre ha aumentato i tassi di 25 punti base. Non si può sottovalutare anche il fatto che, a settembre, la Cina ha annunciato un ampio pacchetto di misure di stimolo, che include il taglio dei tassi di interesse, la rimozione di alcune restrizioni nel settore immobiliare e la creazione di un fondo per sostenere il mercato azionario.
Il pacchetto cinese e la nuova politica Usa
Un mix, quello introdotto da Pechino, che potrebbe avere riflessi importanti sui mercati, soprattutto dei Paesi emergenti. Ma attenzione, avverte ancora Goodly, il secondo mandato di Trump potrebbe comportare il rimodellamento della politica estera Usa, nella difesa e nei rapporti commerciali (con nuovi dazi alla Cina, come promesso in campagna elettorale). Infine, non si può sottovalutare anche la proposta di Trump di espellere milioni di immigrati illegali che oggi fanno girare parte dell’economia Usa. È una proposta che, sottolinea l’esperta, sarebbe adottata all’interno di un mercato del lavoro già piuttosto rigido e rischia di danneggiare sia la crescita economica del Paese sia di fare decollare di nuovo l’inflazione.