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Occhio alla cuccagna di Wall Street
In questi giorni è cominciata la stagione delle trimestrali, che in Usa viene considerata a pieno regime con la pubblicazione dei profitti delle grandi banche. Rispetto all'anno passato l'Eps medio dell'S&P 500 dovrebbe salire di qualcosa come il 18,4%. Se questo valore risultasse alla fine veritiero, si tratterebbe della maggiore crescita dal primo trimestre del 2011, quando fu registrato +19,5%.
In Europa il valore dovrebbe risultare più modesto, intorno al 14%. La crescita americana dovrebbe al termine essere più o meno pari a quella prevista per i mercati emergenti. In quest'ottica oggettivamente si spiega l'ostinato differenziale di andamento tra le tre macro-aree del mondo. E per tutto il resto dell'anno, sia gli Stati Uniti, sia gli emergenti dovrebbero mantenere lo stesso passo nella crescita, appunto intorno al 18%.
Qualche dubbio però lo si potrebbe avere sulle prospettive di tenuta e sulla qualità dei risultati in questione. Infatti molti elementi che stanno dando attualmente respiro alle quotazioni non appaiono molto ripetibili nel corso del 2019. Innanzitutto vale la pena analizzare quali sono i comparti che dovrebbero fornire negli Stati Uniti i risultati migliori. Le prime due posizioni sono occupate dall’energia, con un aumento previsto per i primi tre mesi dell'anno superiore al 78%, e dai materiali di base, con oltre +40% di crescita; a seguire la tecnologia (+22% circa) e i servizi finanziari (+20% circa).
Nel caso della medaglia d'oro e di quella d'argento a giustificare un simile exploit vi è il fatto che si partiva da una base molto bassa, mentre per la terza e la quarta posizione sicuramente aiuta la ripresa economica, con però un forte effetto da parte del varo del taglio alle tasse voluto dal presidente Trump. Si calcola che di quel 18% circa di aumento degli Eps circa sette punti, quindi quasi il 40%, sia generato dalla riforma fiscale. Infatti fino allo scorso dicembre le stime di consensus vedevano un'ascesa dei profitti di poco superiore all'11% in questo 2018.
Ovviamente il 2019 sarà tutta un'altra storia con una base di partenza più alta e diversi benefici fiscali previsti già realizzati. Per il momento, però, è indubbio che quanto meno i risultati aziendali sono in grado di distrarre l'attenzione degli investitori dagli elementi di incertezza presenti sul mercato.
Però non va dimenticato che il derating fornito da una simile spinta non è certo da poco: attualmente il P/E forward dell'S&P 500 è pari a 16,5, non esattamente da stagione dei saldi al mercatino dell'usato, ma in fondo non molto superiore a quel 16,1 registrato come media negli ultimi cinque anni. Anche con un ulteriore modesto derating c'è spazio per chiudere l'annata in maniera più che decente.
Nel frattempo, dunque, la comunità degli investitori ha comprato un po' di tempo per capire cosa sta succedendo al ciclo economico. Se esso dovesse rimanere solido, pur con qualche aggiustamento al ribasso, allora grandi problemi non ce ne sarebbero. Se quello attuale dovesse rivelarsi un fuoco di paglia allora gli investitori ci impiegherebbero pochissimo a dimenticarsi delle buone notizie, rendendo molto difficoltosi i paragoni con un'annata così buona. Per non parlare del fatto che i tassi di interesse a breve saranno per quell'epoca più elevati rispetto al livello attuale.
In pratica o da questo taglio alle tasse avremo uno stimolo duraturo all'economia, magari sotto forma anche di maggiori investimenti, o semplicemente esso diventerà foriero di ulteriore volatilità, avendo anticipato in pochi mesi una crescita che avrebbe potuto essere spalmata su un periodo più lungo, con conseguenze prevedibili sulla volatilità futura.