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Borsa: le due principali incognite del 2025
Quest’anno gli investitori dovranno adattarsi a un mercato più volatile, con correlazioni mutanti tra le asset class. Il periodo caratterizzato da tassi a zero e politiche fiscali rigorose è finito, lasciando spazio a politiche fiscali più espansive che potrebbero alterare gli equilibri.
L’orizzonte del 2025 per i mercati azionari non si presenta nitido (e favorevole) come quello del 2024 quando, caratterizzato da tassi d'interesse più bassi e da una crescita nominale positiva (pur davanti a valutazioni estreme registrate oltreoceano), ha generato per gli investitori rendimenti interessanti. È quanto prevede Johanna Kyrklund, group chief investment officer di Schroders, la quale comunque si aspetta che gli utili societari restino solidi e che continuerà il rientro delle tensioni inflative. Tuttavia, avverte, emergono due principali rischi che potrebbero influenzare i mercati: l'aumento dei rendimenti obbligazionari e la crescente concentrazione degli indici azionari. Ecco perché sarà basilare la diversificazione.
Perché i bond potrebbero far perdere appeal alla Borsa
In particolare, l'aumento dei rendimenti obbligazionari potrebbe mettere sotto pressione proprio l’azionario, specialmente in una prospettiva condizionata da politiche fiscali più espansive e da un conseguente aumento dell’indebitamento. Un tasso di interesse più elevato potrebbe infatti spingere gli investitori a orientarsi verso i titoli di Stato, riducendo – appunto - l'appeal delle azioni. L’altro fattore da monitorare è la concentrazione dei principali indici, alimentata dal crescente peso dei ‘Magnifici 7’ del settore tecnologico, che solleva più di un timore. Un calo in uno di questi titoli potrebbe compromettere la performance complessiva del mercato, rendendo rischiosa una strategia di investimento che si basa solo su questi giganti high tech.
Il mercato è pronto al cambio di regime?
In questo scenario, secondo Kyrklund, gli investitori dovranno prestare maggiore attenzione a costruire portafogli diversificati e resilienti, capaci di fronteggiare le sfide di un mercato più volatile e con correlazioni mutate tra le asset class. Infatti, gli equilibri che finora hanno guidato i mercati sono ormai saltati: è dal 2020 che si parla di un cambio di regime, dopo che nel decennio precedente gli investitori lo hanno vissuto sull’onda di una politica fiscale rigorosa e di tassi d’interesse pari a zero. Un’epoca praticamente dopata in quanto, sostiene l’esperta, la teoria prevedeva che gli individui e le imprese che agivano nel loro interesse personale avrebbero creato risultati positivi per l'economia. Una mano invisibile che operava su scala globale.
Il sostegno a una politica fiscale più generosa
Questo metro di valutazione, tuttavia, ha generato da una parte un'eccessiva disuguaglianza di reddito e, dall’altra parte, l’impressione che la ‘persona media’ nel mondo occidentale non stesse ottenendo abbastanza dal sistema. Questo contesto, a sua volta, ha alimentato il sostegno a politiche populiste e a un nuovo consenso incentrato su una politica fiscale più generosa, sul protezionismo e su tassi di interesse più elevati. Questa evoluzione, di riflesso, ha avviato processi i cui risvolti non sono al momento del tutto percepiti. L’attenzione di Kyrklund, in particolare, si concentra sul fatto che una politica fiscale più generosa implica alla lunga un maggiore indebitamento per il Paese che la adotta. La storia insegna cosa accade in questi casi.
I fattori che alimentano i rischi
Un esempio recente, a questo proposito, può essere quello che sta accadendo nel Regno Unito: costretto a fare i conti con il forte aumento registrato dai rendimenti dei Gilt dallo scorso ottobre, quando è stato presentato il Bilancio. Una dinamica che sottolinea come facilmente la politica fiscale diventi un driver dei mercati finanziari molto importante più di quanto non lo sia stato dieci anni fa. E comunque, sottolinea ancora l’esperta, non è un tema che riguarda solo l’Oltremanica. Infatti, in molte altre aree l'invecchiamento demografico e la necessità di spendere in nuovi ambiti (come può essere la difesa) porteranno a più elevati tassi d’indebitamento. Questi, secondo l’esperta, così diventeranno il limite ultimo di velocità per i rendimenti di mercato.
Da non sottostimare le conseguenze dirette sull’inflazione
Il pericolo, insiste Kyrklund, sta in una politica che promuove un maggiore intervento statale e un aumento della spesa per soddisfare le esigenze di gruppi di interesse o per stimolare l'economia, perché rischia un punto di saturazione dove non sono più sostenibili senza causare gravi danni collaterali. E il limite sono le conseguenze sull’inflazione. Una spesa pubblica senza adeguati contrappesi può alimentare l'inflazione, poi erodere il potere d’acquisto e, infine, a tassi più alti delle Banche centrali. Invece, con un alto indebitamento l’emittente rischia una crisi di solvibilità: se gli investitori perdono fiducia, potrebbero chiedere rendimenti più alti per compensare il rischio, o addirittura ridurre il loro interesse verso i titoli di Stato.