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Italia: la stagnazione economica proseguirà
Il Pil italiano è previsto crescere dello 0,5 per cento nel 2025. Nel Belpaese cala il risparmio. La crescita mondiale sarà superiore, grazie al buon andamento degli Stati Uniti, mentre Cina e Germania, due economie chiave, non sono riuscite ancora a tornare ai livelli pre-pandemia.
L’Italia affronta un periodo (iniziato nel 2024) di stagnazione economica che sembra destinato a prolungarsi anche nel 2025. Sebbene ci siano segnali positivi in alcuni settori, come gli investimenti pubblici legati al PNRR, le difficoltà persistenti nel mercato del lavoro, l’incertezza sulle prospettive di crescita e la debolezza degli investimenti privati continuano a pesare sulle prospettive economiche. È la sintesi della prima analisi congiuntura di quest’anno presentata da Prometeia. In questo contesto, il nostro Paese dovrà fare i conti con uno scoglio complesso: sostenere la crescita e ridurre il debito pubblico, mentre cerca di affrontare le sfide strutturali che frenano la sua economia.
+0,5% il Pil italiano nel 2024 e nel 2025
Nel quarto trimestre 2024, secondo gli esperti, il Pil italiano è risultato stagnante (+0,2% nel brief di novembre); questo porterebbe a una crescita tendenziale dello 0,5%. L'effetto di trascinamento sulla crescita di quest’anno si è di conseguenza ridotto, comportando una revisione al ribasso di 0,2 punti percentuali delle previsioni di Prometeia per il 2025, a +0,5% dallo 0,7% indicato nel rapporto di novembre. Il PNRR continuerà a giocare un ruolo cruciale, con spese previste superiori ai 40 miliardi nel 2025. Tuttavia, la crescita mondiale sarà più sostenuta di quella italiana, poco inferiore al 3%, sotto l’effetto locomotiva degli Usa, visto il brillante abbrivo che hanno mostrato finora.
Cina e Germania faticano a tornare ai livelli pre-Covid
Non di meno, sottolineano gli analisti, questa crescita globale sarà contrastata da un recupero ancora debole in alcune delle principali economie manifatturiere, come la Cina e la Germania, che faticano a tornare ai livelli pre-pandemia. Sottotono sono anche le prospettive per l’Eurozona, chiamata ad affrontare sfide strutturali persistenti che limitano la ripresa: da una parte la crescita degli investimenti rimane contenuta e, dall’altra, la dinamica interna è frenata dalla cautela dei consumatori. Tornando all’economia italiana, questa nel terzo trimestre del 2024 ha mostrato segnali di debolezza, con una crescita dello 0% congiunturale, segnando il secondo trimestre consecutivo di stagnazione.
La spesa delle famiglie come unica spinta dell’economia italiana
Nel nostro Paese, la domanda interna è stata l'unico motore di crescita, spinta principalmente dalla spesa delle famiglie (+1,4% rispetto al trimestre precedente). Tuttavia, questo dato positivo è stato compensato da un calo delle esportazioni (-0,9%), che ha contribuito a una diminuzione complessiva dell’export netto. Gli investimenti fissi, che sono uno degli indicatori chiave per misurare la salute economica a lungo termine, sono diminuiti complessivamente dell’1,2%, con l'eccezione delle costruzioni non residenziali (+1,8%), che hanno beneficiato del supporto dei fondi Ue. Un’altra area di debolezza è rappresentata dagli investimenti strumentali, che sono diminuiti del 2,8%: riduzione riconducibile soprattutto al taglio degli incentivi per la Transizione 4.0, ai ritardi nell’attuazione della Transizione 5.0 e alla debolezza dell’export di beni, che hanno portato le imprese italiane a ridurre gli investimenti per mantenere la competitività globale.
Risparmio in calo e segnali di frenata dal mercato del lavoro italiano
Nonostante una modesta crescita della spesa per consumi (+1,4% nel terzo trimestre), il tasso di risparmio è diminuito al 9,2%, dopo tre trimestri consecutivi di rialzi. Questo trend riflette – secondo il report di Prometeia - una persistente prudenza delle famiglie italiane, preoccupate per l'incertezza economica e per l'erosione del potere d'acquisto causata dall’inflazione. Sebbene il tasso di risparmio sia più alto rispetto ai livelli pre-pandemia (7,6% in media nel 2018-2019), questa cautela evidenzia una tendenza diffusa a proteggere la ricchezza familiare dalle incertezze economiche e dalla crescente inflazione. Anche perché dal mercato del lavoro, sebbene il tasso di disoccupazione abbia continuato a diminuire a novembre (al 5,7%), arrivano i primi segnali di rallentamento (crescita dell’occupazione più lenta).