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Il dilemma dell'investitore europeo
In un articolo precedente è stata introdotta una piccola analisi della situazione dell'equity europeo, sottolineando che esso è ridicolmente sottovalutato rispetto non solo ad altre piazze, ma anche ai multipli mostrati nel recente passato. Una svolta, di cui nelle ultime settimane in effetti si è visto qualche prodromo, potrebbe venire da una forte rotazione verso settori più value al di fuori dell'ossessione growth, fatta di tecnologia ed emergenti, del recente passato.
Il fenomeno potrebbe diventare più intenso trasformandosi in una fase quanto meno ciclica di sovra-performance europee? Dalla sua l’Msci Europe presenta valutazioni davvero invidiabili, il cui sconto appare ancora più appetibile se andiamo ad analizzare i diversi settori che compongono l'indice. Esso, infatti, è diviso in 10 segmenti: servizi finanziari, salute, beni di largo consumo, beni di consumo discrezionali, industriali, materiali di base, energia, telecom, utility e tecnologia. In questo insieme è l'It (non una sorpresa in verità) a presentare il P/E forward più elevato, pari peraltro a 20,6, un livello di gran lunga inferiore rispetto alle proprie controparti americane e asiatiche.
La tecnologia presenta inoltre anche il maggiore scarto rispetto al proprio P/E forward medio calcolato a partire dal 1995, che è 17. Pertanto per quanto riguarda questo tipo di confronto, oltre all'hi-tech solamente energia, industriali e beni di largo consumo mostrano oggi valori più alti rispetto alla propria media calcolata a partire dalla metà degli anni ‘90. Fra questi tre, poi, solo il comparto dei consumer staples si caratterizza per multipli elevati, con un P/E forward di 17,9 a fronte di una media dal 1995 di 17.
All'estremo opposto troviamo ancora i servizi finanziari in cui il suddetto indicatore scambia a 11,4 a fronte di un valore medio di 12,1, peraltro una media distorta al ribasso dai multipli contenutissimi degli ultimi anni di crisi. Questi titoli mostrano anche il beta più elevato rispetto all'indice, pari a 1,36. Peraltro insieme ai materiali di base (1,28) e agli industriali (1,11), si tratta dell'unico comparto che mostra un beta significativamente più elevato rispetto al mercato. L'energia (1,01) è l'unico altro settore in cui questo parametro è superiore a 1; persino la tecnologia (0,97) mostra caratteristiche piuttosto difensive. È interessante notare che i beni di largo consumo, e anche in questo caso non si tratta di una sorpresa, offrono invece la minore dipendenza lineare (0,64) rispetto all’Msci Europe.
In pratica le azioni quasi-bond europee, il cui dividend yield peraltro è per quanto stabile inferiore alla media dell'indice (3% vs 3,5%), sono state preferite ossessivamente rispetto al resto del mercato, superando in maniera quasi indenne i vari mercati orso che hanno piagato l'Europa negli ultimi anni. Il tutto comunque all'interno di listini abbastanza difensivi, se non fosse per quei settori, cruciali e giganteschi per capitalizzazione complessiva, che sono o fortemente ciclici, come gli industriali, o sia ciclici che in crisi strutturale come i finanziari.
Dunque che cosa c'è da aspettarsi nei confronti dell'Europa? Probabilmente essa può rappresentare la scelta migliore, esponendosi a un beta moderatamente alto, in una fase di economia e mercati intermedi. Se infatti dovessimo tornare al possente risk-on a tutta forza di gennaio difficilmente si potrebbe fare meglio di Usa e Asia, ma, se l'attuale nervosismo accompagnato da qualche accenno di rallentamento economico dovesse trasformarsi in un panico da recessione, allora gli Stati Uniti ancora una volta risulterebbero la piazza meno maltrattata dagli investitori. Nel complesso solo uno scenario su tre è quello che vede l'Europa avvantaggiata, però si tratta di quello più probabile. Di sicuro non è una decisione facile.