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Usa, la minaccia dei tassi
In un precedente articolo avevamo visto che gli Usa e il loro mercato azionario non sembrano destinati a vedere tracolli a breve: l’economia infatti va bene, le aziende producono utili e aumentano i fatturati, l’amministrazione Trump ha abbassato le tasse alle imprese, i consumi crescono, anche grazie a un tasso di disoccupazione ai minimi storici, e l’inflazione è un po’ cresciuta, ma non tanto da dare preoccupazioni.
Questo il quadro attuale, ma andrà sempre così? Se il 2018 non fa intravedere grandi nubi, si può dire che lo scenario sarà altrettanto favorevole anche nel 2019? In realtà i timori per l’anno che verrà non sono da poco. Vediamo intanto il principale: il rialzo dei tassi.
La Federal Reserve ha intrapreso la via dell’incremento degli interessi dapprima in maniera molto timida, ma da alcuni mesi in modo molto più deciso. I Fed Funds, che costituiscono il tasso di riferimento per l’intero sistema, sono attualmente all’1,75%, dopo avere toccato il minimo allo 0,25% nel 2016. Sono attesi entro l’anno almeno altri due rialzi, ma c’è chi pensa che i ritocchi potranno essere addirittura tre, per arrivare quindi al 2,50%. Entro la fine del 2019 le previsioni sono per un tasso base di almeno il 3%.
Un cambiamento di questo genere certamente può avere ripercussioni pesanti su tutto il sistema. Innanzitutto le aziende dovranno pagare molti più dollari per indebitarsi e questo fatto certamente non farà molto bene agli investimenti e ai bilanci societari.
Ma a soffrire sarà tutto il sistema obbligazionario: con un tasso di riferimento intorno al 3% il Treasury decennale dovrebbe salire fino al 4% circa e di conseguenza sono destinati a crescere anche gli interessi delle obbligazioni corporate. Gli high yield rischiano di dovere dare tre-quattro punti in più rispetto al bond governativo decennale e saggi a quei livelli potrebbero rendere insostenibili i conti delle aziende, specie le più fragili. Se teniamo poi presente che l’attuale ciclo economico sta durando da oltre un decennio e che inevitabilmente l’economia prima o poi dovrà riprendere fiato, l’arrivo di una politica di incremento dei tassi può essere un colpo molto pesante per l’intero sistema industriale Usa. Non a caso le ultime due fasi di crescita dei saggi hanno portato crisi aziendali e ribassi a Wall Street.
Ma non solo. La crescita dei tassi dei Treasury rischia di spostare enormi capitali dall’azionario all’obbligazionario: nel momento in cui dal debito pubblico arrivano remunerazioni di quel tipo può essere meno interessante puntare soldi sull’equity. E la conseguenza immediata sarebbe la caduta dei corsi di Wall Street.
Infine un altro elemento negativo sarebbe costituito dai contraccolpi sui mercati emergenti: nel momento in cui la maggiore economia del mondo fornisce rendimenti alti, molti investimenti lascerebbero i porti meno sicuri degli emergenti per buttarsi sugli Stati Uniti. A quel punto i paesi in via di sviluppo dovrebbero costretti o a lasciare partire i capitali internazionali che hanno investito in quelle aree, o a dare interessi molto più alti di adesso, con le conseguenze negative facilmente immaginabili sui conti aziendali e degli stati. E nel momento in cui andassero in crisi alcune importanti economie emergenti, le conseguenze sarebbero negative per tutti, Stati Uniti compresi. Le interconnessioni tra le diverse economie sono oggi enormi ed è impensabile che dalle difficoltà di un gruppo di paesi qualcuno si possa avvantaggiare. Incidentalmente in problemi simili si troverebbe anche l’Italia, che già oggi fornisce rendimenti agli obbligazionisti inferiori rispetto agli Stati Uniti: una situazione semplicemente paradossale.
Ma le minacce a medio-lungo termine sugli States sono anche di altro genere: avremo modo di parlarne presto.